Inflazione virtuale

di Gianna De Marchi

 

 

 

 

Ma dove sono finiti i nostri soldi? Al nipote che non ve- di da tempo sei costretto a dare 50 euro al posto delle so- lite cinquantamila lire (per non fare la figura del tirchio), al portalettere come mancia dieci euro anzichè diecimila lire (potevi dargli solo 5 euro?), al ragazzo che va a com- prarti le sigarette 1 euro anzichè le vecchie mille lire, e co- sì si potrebbe continuare all’infinito. Non sappiamo quindi se piangere o ridere ora che la stampa ci dice ufficialmente che l’Istat ha rilevato un aumento dei prezzi del 2,8 per cento. E’ difficile per tutti noi accettare questi dati. Arriva lo studio dell’Eurispes che, riaccendendo le polemiche con l’Istat, segnala decisamente come i rincari dell’ultimo anno nel solo settore alimentare abbiano raggiunto il 29 per cento. E’ vero che i gior- nali hanno ampiamente spiegato la differenza dei metodi di calcolo, tuttavia il salto dei numeri è enorme. A chi credere?

Scambiamo due parole con un esperto, il prof. Diego Cuzzi, manager azienda- le di professione in passato ed attualmente docente di economia all’Università dell’Aquila.

Inizia deciso col dirci che l’Istat è da sempre il braccio armato di qualsiasi maggioranza, impegnato nel caso specifico a negare l’evidenza.

Prof.Cuzzi, l’Istituto Istat controllato è ancora affidabile?

“Affidabile tecnicamente senz’altro ma l’interpretazione, ed in questo caso anche l’elaborazione dei numeri, viene ritoccata a piacere. La credibilità e l'ef- ficacia di una politica monetaristica,  oggi praticata da tutti i paesi, riposa sulla esattezza delle rilevazioni del “passo” dell’inflazione: se è troppo bassa o nega- tiva si chiama deflazione, occorre agire in un senso. Se è troppo alta, ed è il ca- so più frequente, occorre operare in senso contrario, in soldoni operare per ab- bassarla”.

“L’Istat  – ci ricorda Cuzzi –  ha il compito di rilevare il tasso di inflazione: se sbaglia pazienza, ma se altera i numeri di proposito (o per sapiente distrazione) si guadagna sì la riconoscenza di un governo che in ipotesi l’inflazione non rie- sce a controllarla, ma opera palesemente al di là di ogni deontologia profes- sionale”.

E se si fosse trattato solo di furbizia della catena distributiva, un approfittarsi “all’ita-liana” dell’avvento dell’euro caricando irresponsabilmente i prezzi?

“La furbizia è sempre presente, perchè no, anche tra i commercianti – con- clude il prof.Cuzzi –  ciò che è del tutto assente è una politica dei redditi, cioè la doverosa e costante attenzione che ogni governo, di destra o di sinistra, do- vrebbe avere verso i modi nei quali avviene la distribuzione del reddito pro- dotto tra le varie categorie. In queste cose ci sembra che l’attuale governo ab- bia la spensieratezza che caratterizzò a suo tempo il centrosinistra “ante-Ama- to”: concedere a tutti di ritagliarsi la propria fetta di reddito nazionale senza badare alle conseguenze. In particolare affidandosi alla speranza che ogni biri- chinata venga sanata mediante il crescente divario tra reddito reale e reddito nominale. Cioè mandando in velocità l’inflazione che invece deve restare al passo”.

L’Istat fa quello che il governo chiede. In questo caso si comporta come un medico che, mandato al capezzale di un paziente con tutta evidenza in preda ad una febbre da cavallo, immerge il termometro nel ghiaccio ed ottiene un prodigioso risanamento.

“L’Eurispes ha beccato l’Istat sul fatto” aggiunge ancora il nostro esperto Come impedire tutto questo? “Primo, cambiare l’attuale responsabile Istat. Secon- do, mettere l’Istituto agli ordini del Parlamento”. Bruxelles ha sollecitato forte- mente controlli in questo senso.

“Consumate di più” ci è stato chiesto dai nostri governanti. Ma i generi ali- mentari non sono pellicce o scarpe firmate: un loro aumento del 30% è sinto- mo di un impoverimento e riduce la spesa complessiva perchè, non potendo e- liminare i consumi indispensabili, sono stati eliminati gli altri (abbigliamento ed auto prima di tutto). Ma dove sono finiti i nostri soldi?

 

 

febbraio 2003