Iraq ed economia mondiale:

quando i cannoni si fermeranno

di Gianna De Marchi

 

 

 

 

Quanto dipende dalla guerra in corso in Iraq la recessione che ormai si mani- festa sempre più fortemente in Europa, Stati Uniti e Giappone, cioè nelle tre principali aree economiche del mondo? 

Trovare risposta a questo interrogativo può essere utile perché esso ci collega ad una domanda più ampia e attuale: se, una volta finita la guerra, l'economia delle tre aree, e quindi quella del resto del pianeta, si riprenderà con prontezza.

Nel suo recente articolo «I signori della guerra», pubblicato su un settimana- le, lo storico Antonio Landolfi scrive che «l'inizio della guerra in Iraq ha con- fermato una regola che mette a tacere tutti i cultori dell'economia cosiddetta e- tica. La regola vuole che allo scoppio della guerra i mercati borsistici siano in tripudio, con i titoli azionari ed obbligazionari in ascesa». E così sembra essere. Insomma, con l'inizio dei bombardamenti, in tanti ci guadagnano, e bene. 

«Con il mercato globale che corre su Internet» - aggiunge lo storico - il feno- meno tocca contemporaneamente tutte le piazze del mondo. Tutti quindi ne beneficiano, tranne ovviamente chi ci lascia la pelle, militari o civili che siano. Inoltre, altro dato positivo, i prezzi dei prodotti petroliferi si abbassano».

Allora la guerra favorirà la ripresa o si tratta solo di un fuoco temporaneo?

In realtà fra molti economisti sembra farsi strada una tesi: una volta chiusa la partita irachena, i mercati si troveranno a fare i conti con il problema che esi- steva già prima e dietro il fumo dei cannoni: una economia mondiale che sta fa- ticando e profitti molto stagnanti. Uno stato d'animo e di pensiero ben riassun- to dall'economista Giovanni Mazzetti: «La guerra non deve essere considerata come un punto di partenza della riflessione ma come un momento di un pro- cesso più generale. Da questo punto di vista sia l'esplodere della speculazione finanziaria degli anni Novanta, sia l'improvviso crollo di quella stessa specula- zione, sono espressione di un generale regresso sociale, che ovviamente ha i re- lativi  risvolti economici».

Secondo il prof. Mazzetti, noi stiamo attraversando da almeno un ventennio una crisi epocale, che ci impedisce di usare appieno le risorse e le conoscenze che abbiamo acquisito. Come è già accaduto nel corso delle precedenti crisi, è la società nel suo insieme che è incapace di comprendere quello che sta succe- dendo, in modo che l'antagonismo prende vie e si sviluppa con modalità che poco o nulla hanno a vedere con le cause che lo determinano. Da questo punto di vista la guerra retroagisce, ovviamente in modo negativo, sul quadro eco- nomico generale.

Mazzetti è convinto che la realtà della guerra porterà conseguenze negative, non tanto per gli effetti diretti sulla domanda, quanto piuttosto per l'effetto de- pressivo che essa avrà su quello che Keynes chiamava «la psicologia generale della società». Il sistema capitalistico è infatti un sistema prevalentemente pro- iettato nel futuro, nel senso che molte delle attività economiche sono finaliz-  zate a soddisfare bisogni prospettivi. E' chiaro che se il futuro appare nero, o quanto meno molto confuso, il meccanismo di accumulazione si inceppa ed an- che la soddisfazione dei bisogni correnti ne risente drasticamente.

«Il quadro finanziario» - conclude Mazzetti - «è anche peggiore di quello della fine degli anni Venti del secolo scorso, perchè le oscillazioni dei titoli sono le- gate agli esiti di battaglie locali, invece che alla dinamica complessiva del siste- ma economico. Si è persa quella bussola che era stata faticosamente costruita dopo la Grande Crisi del 1929».

Per queste ed altre ragioni, connesse soprattutto all'incapacità di coloro che criticano i rapporti capitalistici di fornire una strategia alternativa, i più realisti ritengono che nei prossimi mesi non ci si debba aspettare nulla di buono.

 

 

 

 

aprile 2003