Pacifismo, guerra e politica

risponde Luigi M.Lombardi Satriani

 

   Il pacifismo è un partito?

  Non è un partito perché unisce persone di diversa formazione poli- tica. Alcuni possono avere diffidenza, alcuni possono far parte dei partiti altri no, e nonostante questo si ritrovano accomunati a testi- moniare un orizzonte di valore.

 Il pacifismo è l’affermazione dell’ineludibilità del diritto alla vita di ciascun es-sere umano e quindi chiara opposizione alla guerra e a tutte le forme che tale diritto alla vita insidiano o negano. La cultura della pace è un superiore livello di consapevolezza che con la guerra tutto viene perso. Abbiamo un depaupera-mento dell’umanità e la convivenza tra gli uomini diventa sempre più difficile proprio perché più conflittuale.

   Si può parlare di aggressione bellica nel recente conflitto in Iraq?

  Chiaramente l’andamento di questa guerra, sciagurata come tutte le guerre, l’immediata fase post-bellica, hanno messo in luce come le motivazioni addot- te per l’intervento militare fossero del tutto pretestuose. Si è dichiarato, in par- ticolare da parte di Bush, Blair e di quanti a loro si sono accodati, che era indi-spensabile fare la guerra a Saddam per impedirgli che potesse scatenare una guerra con armi di distruzione di massa. Tali armi non sono state usate dal dit-tatore iracheno, a sua volta responsabile di violenze innumerevoli sui suoi go-vernati, quando pur andava verso la sconfitta, né sono state trovate successi-vamente. Per queste menzogne accusatori di Blair, ad esempio, sono stati alcu-ni ministri britannici, non quanti si erano già schierati contro questa politica aggressiva che ha portato lutti e rovine e non ha risolto quei problemi che pur si dichiarava di voler risolvere definitivamente.

   Quale politica e quali metodi per le controversie internazionali?

  La politica del dialogo non è soltanto una aspirazione profonda di milioni e milioni di persone; essa si pone come unica via da percorrere se si vuole che i problemi dati dalla compresenza di stati e etnie diverse con differenziate logi-che ed esigenze, siano risolte davvero e non accantonate temporaneamente fi-no alla successiva esplosione cruenta. Pensiamo, ad esempio, al drammatico scontro israeliani-palestinesi, rispetto al quale la comunità internazionale tutta è responsabile come minimo di disattenzione come se i problemi possano atte-nuarsi o sparire sol perché non se ne vuole parlare o non li si vuole vedere in tutta la loro complessità. Sappiamo però che la politica dello struzzo è ancora più dannosa di quanto si possa a prima vista pensare.  

   E' giusto imporre la democrazia?

  Ancora una volta ci ritroviamo dinanzi all’applicazione del principio del fine che giustifica i mezzi. Quando si tratta di princìpi e di valori che possono resi-stere nel tempo solo se profondamente condivisi, pensare che sia sufficiente u-na rapida verniciatura democratica a società con valori e strutture politiche e culturali diverse, è atteggiamento o ingenuo o ipocrita.

   La coscienza... Quale ruolo per la coscienza individuale e collettiva di fronte alla politica dei governi?

  Un ruolo essenziale. Nessuna politica realmente democratica può essere fatta se non alla sollecitazione di un’ampia domanda di base in tale direzione.

  La società civile ha un compito irrinunciabile, né può chiamarsi fuori magari nella convinzione stereotipa che «la politica è una cosa sporca». Ma la società civile è composta da innumerevoli coscienze individuali, ognuna delle quali de-ve testimoniare i valori in cui crede perché, quale che sia l’opinione di «anime belle», non ci si salva da soli. L’etica è anzitutto fatta di scelte individuali e di comportamenti conseguenti.

 

maggio 2003