L'ira della vittima
di Sergio Prati
Essere buoni? O essere calmi, padroni
di se stessi, filosofi? Spesso le due no- zioni si confondono. Dichiarare
in questo giorno di stragi ed esplosioni a Lon- dra: Sono dei folli, dei
mostri, delle belve sanguinarie, non uomini come noi. Non sapranno farci
diventare dei vigliacchi, né rinunciare ai princìpi occidenta- li della
nostra civiltà. Li distruggeremo.
No, non sono delle bestie, sono anch’essi, purtroppo, degli uomini
come noi. L’ira della vittima quando si esprime in tali forme fideistiche
e ultimative suona solo ridicola. E' un modo di non essere né buoni, né
giusti, né filosofi quando avremmo più necessità di mostrarci tali. E'
invece solo abbandonarsi, lasciarsi dominare dall’ istinto primordiale che
chiede punizione, vendetta, odio del ne- mico o, meglio, dell’altro. La
prima reazione della umana ragionevolezza, dopo esser stati colpiti,
feriti, uccisi, dovrebbe essere il chiedersi: se per qualche ra- gione,
che non siamo disposti a riconoscere, ce lo siamo meritati. Se dobbiamo
chiedere perdono ai nostri nemici per averli indotti, con la proterva
volontà di predominio, a desiderare la nostra morte. A uccidersi loro
stessi, pur di portar- cerla tra le nostre case con insensate armi
esplosive. La bontà pura e inattiva dei buoni di spirito può rimanere, in
questi casi, pur sempre una virtù, ma stu- pida e inutile. Dobbiamo
reagire, s’intende, col fare qualcosa: ma con molta cautela, freddezza e
ragione, e un calmo, obiettivo senso della pietà, verso noi stessi e gli
altri; sentendo, se possiamo essere solo pacifici o pacifisti, che la
bontà-non odio, nella sua eccezione più semplice, ben poco può aiutarci in
simili circostanze. Come non possono far niente per cambiarle in meglio la
cat- tiveria e la barbarie, la superbia di essere migliori di loro.
luglio 2005
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