La tentazione mistica.

Il dio con cui si parla.

di Sergio Prati

 


 

 Gran scrivere e parlare di laici e di cattolici come due linee in conflitto. Ma quanti laici sono anche cattolici e quanti cattolici sono anche laici? E quanti laici/cattolici non sono né cattolici né laici in senso assoluto e illuminista del termine? Ogni esclusione e rigidezza vuole ridurmi a quella cosa priva di varia- bili e contraddizioni che non sono. Sfido a smentirmi. Il fatto è che le sfumatu- re tra i due schieramenti(?) sono infinite e fanno sì che molte persone trovino difficile dichiararsi e definirsi nel senso ortodosso e rigoroso del termine. Io non vado in chiesa, non ho un colloquio coi preti, mi dico non credente: ma poi la notte parlo con un Dio dell’amore e della fratellanza tra gli uomini in tut- te le loro diversità. Quale puro razionalismo (in me o fuori di me) può impedir- mi di farlo? E allora, miei rigidi signori, tutti da una parte e tutti d’un pezzo, così sicuri nel parlare e nell’avere sempre una risposta alle domande dei giorna- listi: come la mettiamo? Volete o no lasciarci e lasciarmi libero di essere ciò che siamo e sono, incoerenze comprese? Vogliamo chiuderli questi fossi che scorrono tra la società, il comune e la chiesa? Vogliamo che il nostro ideale di pace tenga un dialogo aperto in ogni direzione? Fuorché, sottinteso, verso chi, in nome di un dogma o della pura verità, questo dialogo aperto non lo vuole. E vorrebbe cingere una cancellata intorno a quelle piazze e quelle vie dove l’in- contro avviene, e di continuo e sempre più, e si fa sempre più plurale, indipen- dentemente da voleri e da poteri.
   E allora miei signori della stampa e no: lasciate che continui, come un matto con il niente o con un amico inesistente, a parlare con un dio, e che lasci a voi i cardinali, i filosofi e gli agnostici che un dio con cui parlare non ce l’hanno ma tanto volentieri si lasciano intervistare per parlarne. E quale megafono, altret- tanto volentieri voi gli offrite. Pensieri loro. Fatti loro. Alla dimensione enorme della loro voce corrisponde la pochezza del suono che essi producono in me.
   Ma poi c’è davvero? Domanda che anche questa ho smesso di pormi, da quando ho capito quanto era inutile dirmi ateo cento volte al giorno e poi la notte curare l’insonnia parlando con un niente che automaticamente diventa Dio. Ho capito, diciamo alfine ho capito, da vecchio, che non importa credere in Dio, dichiarare una fede positiva per parlare con Dio. Anzi per parlare con Dio è meglio addirittura non crederci. Tu sai benissimo, e ne sei convinto, che mentre credi di parlare con Dio, in realtà parli con te stesso. E chi può confu- tarlo in base ad argomenti razionali? Il fatto è che io parlo anche di continuo con me stesso, perché mi piace pensare, non lasciare neghittosa la mente, usar- la di continuo, sentirne la voce o vocina o vocetta, o ronzio, come ad altri pia- ce di sentire la musichetta in sottofondo. E’ che in certi momenti il me stesso con cui dovrei parlare non lo trovo più. Trovo in me un altro tipo d’interlocu- tore, diciamo un altro me stesso, con cui dico cose e faccio discorsi che non faccio comunemente quando penso. Ho allora due forme diverse di pensiero: una diurna e una notturna? Se sì non credo che la seconda sia meno sveglia e razionale della prima.

 

 

 


novembre 2004