Manipolazioni genetiche:

la pericolosa illusione di una nuova genesi

 di Gianni Tamino

 

 

Manipolazioni e oggetti artificiali

 

Spesso si usa contrapporre il concetto di «naturale» a quello di «artificiale», ma si tratta di una contrapposizione dal punto di vista logico non corretta. Infatti possiamo definire come artificiale un prodotto ottenuto grazie ad un intervento non ca- suale di un essere pensante; cioè occorre che l’intervento, ef- fettuato su materiali preesistenti per modificarli in funzione di esigenze particolari, sia prima pensato e progettato nella mente e poi realizzato concretamente. Ciò significa che ogni prodotto artificiale è opera di un essere intelligente che comunque appartiene al mondo  naturale, uomo o animale che sia. In qualche modo possiamo dire che la realiz- zazione di interventi artificiali è una potenzialità degli esseri viventi, quando  raggiungono un particolare livello di evoluzione, o, se si preferisce, che «l'artifi- ciale» è parte del «naturale».

Per poter realizzare prodotti artificiali occorre dunque aver raggiunto un par- ticolare livello evolutivo, caratterizzato da notevole intelligenza, accumulo di informazioni non genetiche mediante trasmissione culturale, ciò che richiede a sua volta un buon livello sociale, e, infine, la capacità tecnica di modificare materiali preesistenti. Il processo che ha messo insieme queste potenzialità si è realizzato in modo particolare nella linea evolutiva umana, anche se discreti livelli di intelligenza si riscontrano anche in altri animali, soprattutto in altri Primati, che talora, come le scimmie antropomorfe, sono dotati anche di capa- cità di trasmettere informazioni culturali. Sempre nei Primati si è evoluta una capacità prensile, sia di forza che di precisione, nelle mani, che sono quindi in grado di prendere oggetti e talora anche di modificarli, grazie forse ad un pro- getto che verrebbe trasmesso ad altri individui del proprio gruppo e soprattutto alle generazioni successive.

Ma non c’è dubbio che intelligenza, evoluzione culturale e manualità abbiano permesso soprattutto alla specie Homo sapiens  di produrre un gran numero di manufatti artificiali, che oggi ci possono in alcuni casi apparire in contrapposi- zione con la realtà naturale. Tuttavia senza questa capacità di «manipolare» ciò che ci circonda non ci sarebbe stato alcun progresso umano e di per sé le alte- razioni indotte dall’uomo non sono necessariamente incompatibili con i proces- si naturali e i delicati equilibri ambientali.

Certamente un intervento casuale e indiscriminato sulla natura può determi- nare effetti negativi, le cui conseguenze ricadono su tutti gli organismi viventi, uomo compreso, ma, come abbiamo già detto, la capacità di manipolare mate- riali preesistenti per ottenere oggetti artificiali è tipica di un essere intelligente, in grado di progettare ciò che intende realizzare. Ciò significa che l’uomo, uni- co, a differenza di altri animali, in grado di valutare ciò che sta facendo, deve assumersi la responsabilità delle sue azioni.

 

 

Responsabilità e precauzione

 

Non c’è dubbio che la produzione artificiale umana ha raggiunto nell’ultimo secolo livelli mai raggiunti prima e la quantità e la qualità di tali produzioni ha creato impatti evidenti a tutti, in termini di inquinamento, di perdita di risorse, di alterazione degli equilibri ambientali, di danni alla salute. L’euforia dello svi- luppo e del progresso ha fatto perdere di vista i limiti delle risorse disponibili e la irreversibilità e precarietà dei processi naturali e solo recentemente ci si è po- sti il problema degli effetti e dell’impatto delle attività umane sulla salute e sul- l’ambiente. Però scientificamente è possibile misurare impatti ed effetti solo quando sono già avvenuti e tutt’al più si può evitare che continuino a verificar- si, ma se si tratta di danni irreversibili, come è avvenuto per varie sostanze chi- miche, per le radiazioni o per certe epidemie provocate da interventi umani (si pensi all’AIDS o alla BSE, il morbo di mucca pazza), ben poco si può fare, se non «chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati». Che fare allora? Rinunciare alle «manipolazioni artificiali»? Evidentemente nessuno sarebbe di- sponibile a tornare all’età della pietra e neppure al livello di sviluppo di soli  cinquant’anni fa, pertanto la soluzione sta nel realizzare una produzione artifi- ciale responsabile, in grado di prevenire effetti rilevanti e irreversibili.

Una produzione responsabile richiede non solo migliori conoscenze scientifi- che, indispensabili per assumere decisioni, ma anche un forte impegno morale, un senso civico dei propri doveri (agire secondo scienza e coscienza). Ciò che infatti distingue dagli altri animali l’uomo non sono tanto i suoi diritti (anche gli altri viventi possono averli, ad esempio quello di poter vivere secondo le ca- ratteristiche della propria specie), quanto i suoi doveri: solo chi è cosciente e consapevole può avere dei doveri.

Per questo dovremmo assumere come criterio per una produzione artificiale consapevole il principio di responsabilità, elaborato dal filosofo tedesco Hans Jonas, in base al quale, per un dovere morale e civile nei confronti di tutti gli esseri viventi, del loro ambiente e in generale del pianeta, che costituiscono un valore degno di essere salvaguardato, e soprattutto per rispetto dei diritti delle future generazioni, a cui non possiamo lasciare in eredità un ambiente sempre più degradato, dobbiamo modificare il nostro rapporto con la natura, evitando tecnologie che potrebbero determinare  processi irreversibili, fino al- l’autodistruzione.

Un altro importante principio che ha trovato un fondamento non solo morale ma anche legislativo è il principio di precauzione, sancito nel 1992 dalla Convenzione di Rio de Janeiro sulla biodiversità e inserito nel 1994 nel Trat- tato dell’Unione Europea, in base al quale un prodotto o un processo produt- tivo non vanno considerati, come si è fatto finora, pericolosi soltanto dopo che è stato determinato quanti danni ambientali, malattie e morti producono, ma al contrario si possono considerare sicuri solo se e quando siamo in grado, al di là di ogni ragionevole dubbio, di escludere che possano presentare rischi rilevanti e irreversibili per l’ambiente e la salute. In base a questo principio non sarebbe più possibile la pratica immorale di mettere in commercio prodotti che verran- no eventualmente ritirati, solo dopo aver contato danni, malati e morti, che non saranno certo per questo resuscitati.

Tuttavia per realizzare produzioni responsabili non basta il solo criterio della sicurezza, occorre anche evitare la perdita di risorse e il mantenimento dei cicli naturali, attraverso tecniche produttive sostenibili e durevoli.

 

 

Biotecnologie e manipolazioni genetiche

 

L’uomo primitivo ha iniziato la sua attività di trasformazione manipolando prima bastoni e poi pietre, ricavandone utensili utili per nuove trasformazioni. Da quando esiste l’agricoltura, ma anche la pastorizia, l’uomo ha imparato ad utilizzare fenomeni naturali per ottenere nuovi prodotti: in particolare ha ap- preso che latte, frutta, verdure, cereali possono subire delle trasformazioni bio- logiche che danno origine a nuovi alimenti. Senza saperlo fin da allora l'uomo utilizzava biotecnologie, cioè tecniche in grado di sfruttare fenomeni biologi- ci, come le fermentazioni, per ricavarne vino, birra, yogurt, formaggi, pane lie- vitato, ecc. Fin dall’origine l’agricoltura ha fatto ricorso alla selezione artificiale delle piante, tenendo conto di due esigenze: che la pianta fosse da una parte produttiva ma dall’altra che si adattasse bene all’ambiente in cui veniva colti- vata. Solo recentemente si è spinta enormemente la selezione verso la produt- tività, ottenendo però piante poco adatte ad ambienti particolari, come le zone di collina e montagna o le zone aride, e in ogni caso poco competitive con le piante naturali. Così, non adattando le piante all’ambiente, si è dovuto adattare l’ambiente a piante poco resistenti e poco competitive, distruggendo tutti gli organismi in grado di competere o danneggiare le coltivazioni con sostanze chimiche biocidi.

Il passo successivo è stato il ricorso ad una nuova biotecnologia, la diretta manipolazione dell’informazione genetica (cioè il DNA) degli organismi viventi, sia per aumentare ulteriormente la loro produttività sia per farli pro- durre direttamente nuovi prodotti o fitofarmaci o, quanto meno, perché non fossero danneggiati dai tradizionali pesticidi. Così negli anni ’70 si è scoperto come sia possibile trasferire artificialmente geni da una specie all’altra, con tec- niche definite di «ingegneria genetica». In tal modo si possono ottenere micror- ganismi, piante o animali «transgenici», spesso definiti «organismi geneticamen- te modificati» o, in sigla, OGM. Le prime ricerche sono state fatte su microrga- nismi o cellule, per applicazioni mediche, in laboratori protetti, per evitare con- taminazioni con l’esterno. Recentemente interessi agroalimentari hanno portato alla manipolazione di piante ed animali che, non potendo essere tenuti in am- bienti isolati, vengono sperimentati e utilizzati in campo aperto, con rischio evidente di trasferimento di nuovi geni in altri organismi, senza controllo e con pericolo di effetti indesiderati.

In gran parte d’Europa ed in Italia le coltivazioni di piante transgeniche sono ancora sperimentali, senza autorizzazione alla commercializzazione, ma è auto- rizzata l’importazione soprattutto dagli Usa di alcune piante transgeniche, i cui derivati sono presenti in molti dei prodotti che acquistiamo nei supermercati e nei mangimi usati negli allevamenti di animali.

Attualmente i vegetali transgenici importati nell’Unione Europea sono cin- que: mais, soia, colza, radicchio e tabacco. Sono stati modificati per ottenere la resistenza ai parassiti o la tolleranza agli erbicidi. L’immissione sul mercato, senza un adeguato controllo preventivo di organismi geneticamente modificati e la richiesta di brevettare tali organismi o tali tecniche, hanno creato una cre- scente preoccupazione nell'opinione pubblica per le conseguenze ambientali e sanitarie che potrebbero derivare da un’incontrollata diffusione di OGM, e per gli interrogativi di natura etica che tali manipolazioni suscitano.

Il primo, e più grave, dei problemi delle biotecnologie risiede nella comples- sità dei sistemi biologici, per cui, introducendo nell’ambiente organismi con ca- ratteri genetici che non esistevano prima, non sapremo prevedere quali conse- guenze potranno verificarsi. Ad esempio, in ogni momento  è possibile che una pianta modificata si incroci per caso con piante coltivate o spontanee dello stesso tipo e diffonda un carattere che potrebbe avere gravi conseguenze per la biodiversità, cioè per la varietà di specie che troviamo in un ecosistema e per le differenti forme e caratteristiche genetiche all’interno di una popolazione, che costituiscono la vera ricchezza ambientale, poiché la ricchezza di diversità per- mette ad ogni popolazione di avere sempre qualche individuo in grado di adat- tarsi a variazioni dell’ambiente e al diffondersi di epidemie.

Proprio per queste ragioni venne proposta la Convenzione sulla biodiversità, sottoscritta da tutti i paesi europei, ma non dagli Stati Uniti, che prevede come affrontare tra gli altri, i rischi degli OGM, introducendo il «principio di precau- zione».

Anche in tema di salute i cibi derivati da OGM nascondono rischi per l'uomo: un alimento transgenico può provocare allergie (come è accaduto nel caso della soia, nella quale è stato inserito un gene proveniente dalla noce del Brasile) o intossicazioni o favorire lo spostamento di strutture mobili del DNA, con ri- schio di infezioni o tumori, che magari non vediamo immediatamente, ma che possono produrre effetti a distanza di tempo. Ma gli OGM contengono anche, come marcatore, un fattore di resistenza agli antibiotici; però, una volta arri- vato nell’apparato digerente attraverso un alimento che lo contiene, questo marcatore potrebbe  trasferire tale resistenza ai batteri che normalmente convi- vono con l’uomo e questi a loro volta potrebbero trasferire questa resistenza a batteri patogeni, rendendo nullo l’utilizzo dell’antibiotico specifico e privando- ci di una delle armi di difesa più importanti contro le malattie infettive.

Inoltre molte piante transgeniche (circa il 70%)  sono modificate per risultare resistenti ad un erbicida, in particolare il glifosato: in tal caso la pianta potrà convivere con elevate dosi di pesticida che, oltre ad inquinare l’ambiente, sarà  presente nel cibo che mangeremo. Recentemente uno studio svedese, pubbli- cato sulla rivista Cancer, ha messo in luce un legame tra il glifosato ed un peri- coloso tumore, un tipo di linfoma.  

Per queste ragioni, nel rispetto del diritto alla salute e del principio di precau- zione, il cittadino ha anche diritto ad una corretta informazione, a partire da u- na chiara etichettatura dei prodotti alimentari.

 

 

 

agosto 2002