Nella sezione Momenti di storia dell’estetica
della collana Lessico dell’estetica viene pubblicato il
volume dedicato all’Ottocento. Il libro è articolato in quattro ca-
pitoli in cui il lettore è condotto alla scoperta dei momenti e delle
figure più si- gnificative della storia di questa disciplina a partire
dalla grande stagione dall’i- dealismo tedesco fino al positivismo di
fine secolo. L’approccio storico-teorico di Vercellone individua
come filo conduttore, in grado di legare insieme conce- zioni molto
diverse del bello e dell’arte la dialettica fra autonomia e eteronomia
dell’arte, ovvero il rapporto arte/vita. Ciò significa che,
sotto le diverse forme in cui tale rapporto viene modulato, Vercellone
vede agire l’influsso romantico, in- flusso che si
manifesta soprattutto nel peso che questo secolo attribuisce alla
storicità dell’arte e alla soggettività del fare
poetico. Il risultato della persistenza di un’atmosfera romantica, più
o meno accentuata, in tutte le fasi della vicenda ottocentesca,
conduce a paradossi difficilmente eludibili: in un’epoca che vede
affermarsi inesorabile il primato del bello artistico su quello di
natura (con illu- stri eccezioni, fra cui soprattutto quella
costituita dallo Schelling de Le arti figu- rative e la natura
del 1807), l’ipertrofia dell’arte e della filosofia che la concerne
comporta inevitabilmente «la più recisa negazione della sua autonomia»
(p. 8); specularmente però, come accade in Hegel, la compiuta
autonomia del fare ar- tistico produce «la decadenza del ruolo
filosofico dell’arte.» (p. 29). Il risultato, ovvio date queste
premesse, è che «da Hegel sino a Taine [...] il significato del-
l’arte non si realizza in una dimensione propriamente estetica.» (p.
7).
Ecco che allora, proprio in virtù della
costitutiva centralità attribuita al rap- porto dell’arte con la vita,
la cifra che contraddistingue l’estetica dell’Ottocen- to non può che
essere quella della contraddizione. Sono il brutto, il comico,
il grottesco, il tragico dionisiaco, il perturbante le “categorie”
proprie della filoso- fia dell’arte di questo periodo. E uno dei
meriti del lavoro di Vercellone (ispira- tosi, riteniamo, al bel libro
di P. D’Angelo, Simbolo e arte in Hegel, Roma-Bari, Laterza, 1989) è quello di mostrare come il negativo e la
contraddizione siano l’essenza dell’arte anche per colui sotto la cui
ala si producono gran parte delle riflessioni estetiche del secolo
scorso, e cioè Hegel. La parte dedicata a Hegel è una delle
meglio riuscite. La tesi di Vercellone è che nel sistema hegeliano la
forma in cui si manifesta l’essenza dell’arte non è quella in cui
l’arte raggiunge la perfezione, l’equilibrio, la perfetta coincidenza
tra spirito e materia e tra for- ma e contenuto, ossia l’arte
classica, bensì l’arte simbolica e l’arte romantica, cioè l’arte pre e
post-classica, in cui la forma sensibile non è adeguata al conte- nuto
spirituale e concettuale che esprime. Ma è proprio questa
inadeguatezza a costituire l’arte come momento di sviluppo dello
spirito assoluto.Invece il clas- sico, per la sua pretesa di unire
finito e infinito, una pretesa in ultima istanza il- lusoria, ha in sé
il motivo del proprio tramonto. Ecco che allora, in questo qua- dro
teorico, risultano perfettamente comprensibili il legame dell’arte con
la di- mensione religiosa - proprio perché l’«intima portata
antiestetica del cristianesi- mo» non è che l’altra faccia
dell’«impronta essenzialmente cristiana dell’arte moderna» (p. 39) - e
la tesi, che sarà tanto discussa nel Novecento, della “mor- te”
dell’arte. La lettura di Vercellone mostra dunque come le prospettive
filo- sofiche dei pensatori post o antihegeliani (da Kierkegaard a
Schopenhauer e a Nietzsche, da Weiße a Rosenkranz) siano già, per così
dire, “previste” nelle Le- zioni di estetica hegeliane. In fondo, «l’affacciarsi del brutto [e del comico]
nell'e- stetica
post-hegeliana» (p. 55) e lo sviluppo di uno sguardo storico
sull’arte non sono che l’esito forse paradossale, ma
inevitabile, della stessa concezione hege- liana del bello e
dell’arte.
E a entrare in crisi non è soltanto il bello
come ideale del fare artistico: ad ap- parire forse ancor più
inevitabile è infatti la dissoluzione dell’opera d’arte come luogo
deputato per eccellenza all’esperienza estetica. Questa, per lo meno,
è la prospettiva ermeneutica con cui Vercellone guarda all’estetica di
Kierkegaard e di Nietzsche, ma anche a quella di Wagner, Hugo e
Baudelaire: così, la critica di Kierkegaard all’estetismo dell’attimo
interessante, l’esaltazione schopen- haueriana del genio
e della musica (in cui l’arte viene condotta al di là della stessa
forma dell’arte) e la grande meditazione nicciana sul tragico come
dispie- gamento dell’arte nella vita, per cui l’arte assume una
rilevanza metafisica e on- tologica, ma anche la filosofia della
storia dell’arte di Hugo (che contempla l’e- mancipazione dal classico
per cogliere le figure del malinconico, del grottesco e del comico
come quelle più adeguate a definire la situazione del moderno), la
proposta wagneriana di un’opera d’arte totale e il realismo
paradossale e anti- naturalistico di Baudelaire, sono tutte
espressioni, in ambito estetico, dei modi dell’autoriflessione della
soggettività moderna, la cui idea-guida è dunque quel- la «di una
sorta di pervasività dell’arte che tende a trascorrere nella vita.» (p.96)
Sotto il paradigma della pervasività dell’arte
(ricordiamo a questo proposito che questo è anche il titolo di un
altro libro di Vercellone: Pervasività dell’arte, Mila-
no, Guerini Studio, 1990) l’autore iscrive anche altri pensatori, come
per esem- pio W. Morris, il cui «socialismo paradossalmente ispirato
dall’idealizzazione dell’universo corporativo medievale» eredita «la
struttura utopica del romanti- cismo» (p. 97) e dell’estetica
schellinghiana e tende alla liberazione del lavoro dalla fatica in
modo tale da coniugarlo al piacere estetico.
Una storicità diversa da quella di ispirazione
romantica è invece quella che, connessa al concetto darwiniano di
evoluzione, è propria dell’estetica del posi- tivismo, che relativizza
la forma estetica a fattori di tipo ambientale, storico e sociale.
Nell’estetica “descrittiva” di Taine, fortemente improntata alle
conqui- ste della scienza moderna, tale impostazione viene connotata
da un’inclinazio- ne classicistica e moralistica, dietro cui pare
ricomparire il dettato hegeliano della “morte dell’arte”. In Guyau
(molto ben articolato il paragrafo a lui dedica- to) si riaffacciano
invece tesi tipiche del romanticismo tedesco: la vita come (il
e la) fine dell’arte e l’arte come quel fare in grado di
dilatare empaticamente i confini della coscienza. Decisamente
antiromantico e al contempo antihegelia- no è invece da considerarsi
secondo Vercellone il formalismo di Hanslick e di Fiedler.
Nel complesso si tratta di un lavoro ben
strutturato, che raggiunge gli obietti- vi che un’introduzione deve
porsi: chiarezza, completezza, sinteticità. È tutta- via chiaro che,
per via dell’impostazione dell’esposizione, un’esposizione (in senso
buono) non imparziale e non meramente descrittiva, bensì
filosoficamen- te impegnata, alcuni aspetti dell’estetica
dell’Ottocento, per un verso o per l’al- ltro non pienamente
riconducibili entro il paradigma del rapporto arte/vita, ri- mangono
gioco forza un po’ in ombra. Per esempio avremmo sviluppato in ma-
niera forse più ampia il discorso relativo all’estetica di
Schleiermacher, autore caro a Croce che comunque Vercellone ha il
merito di riproporre all’attenzione del pubblico, dopo anni di
oscuramento di stampo anti-crociano.Inoltre avrem- mo fatto almeno
alcuni accenni, oltre che a Schelling e a Hegel, a un altro rap-
presentante della filosofia classica tedesca: Fichte, un filosofo che,
pur non a- vendo scritto alcun manuale di estetica, diede, “fra le
righe”, un forte contribu- to agli aspetti più propriamente
filosofici, per non dire “ontologici”, di questa disciplina, mettendo
al centro della sua «filosofia trascendentale della vita»
concetti di chiara estrazione estetica come quelli di immaginazione e immagi- ne. In ogni caso siamo ben consapevoli del fatto che in
un’introduzione a una disciplina non è possibile dare spazio a tutto,
soprattutto a chi contribuì al suo sviluppo unicamente in maniera
implicita, se non laterale. Inoltre di questi au- tori si era già
occupato P. D’Angelo nella sua Introduzione all’estetica
dell’Idealismo tedesco (uscita anch’essa per i tipi de Il Mulino).
Sottolineiamo infine l’utilità delle ampie
citazioni che Vercellone trae in ma- niera opportuna dai testi dei
pensatori dell’Ottocento di volta in volta indagati. Corredano il
volume un’ottima bibliografia a carattere introduttivo e un utile
indice dei nomi.
novembre
1999
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