Alessandro Bertinetto: L'estetica dell'Ottocento  di Federico Vercellone, Il Mu- lino, 1999

 

 

 

 

 

Nella sezione Momenti di storia dell’estetica della collana Lessico dell’estetica viene pubblicato il volume dedicato all’Ottocento. Il libro è articolato in quattro ca- pitoli in cui il lettore è condotto alla scoperta dei momenti e delle figure più si- gnificative della storia di questa disciplina a partire dalla grande stagione dall’i- dealismo tedesco fino al positivismo di fine secolo. L’approccio storico-teorico di Vercellone individua come filo conduttore, in grado di legare insieme conce- zioni molto diverse del bello e dell’arte la dialettica fra autonomia e eteronomia dell’arte, ovvero il rapporto arte/vita. Ciò significa che, sotto le diverse forme in cui tale rapporto viene modulato, Vercellone vede agire l’influsso romantico, in- flusso che si manifesta soprattutto nel peso che questo secolo attribuisce alla storicità dell’arte e alla soggettività del fare poetico. Il risultato della persistenza di un’atmosfera romantica, più o meno accentuata, in tutte le fasi della vicenda ottocentesca, conduce a paradossi difficilmente eludibili: in un’epoca che vede affermarsi inesorabile il primato del bello artistico su quello di natura (con illu- stri eccezioni, fra cui soprattutto quella costituita dallo Schelling de Le arti figu- rative e la natura del 1807), l’ipertrofia dell’arte e della filosofia che la concerne comporta inevitabilmente «la più recisa negazione della sua autonomia» (p. 8); specularmente però, come accade in Hegel, la compiuta autonomia del fare ar- tistico produce «la decadenza del ruolo filosofico dell’arte.» (p. 29). Il risultato, ovvio date queste premesse, è che «da Hegel sino a Taine [...] il significato del- l’arte non si realizza in una dimensione propriamente estetica.» (p. 7).

Ecco che allora, proprio in virtù della costitutiva centralità attribuita al rap- porto dell’arte con la vita, la cifra che contraddistingue l’estetica dell’Ottocen- to non può che essere quella della contraddizione. Sono il brutto, il comico, il grottesco, il tragico dionisiaco, il perturbante le “categorie” proprie della filoso- fia dell’arte di questo periodo. E uno dei meriti del lavoro di Vercellone (ispira- tosi, riteniamo, al bel libro di P. D’Angelo, Simbolo e arte in Hegel, Roma-Bari, Laterza, 1989) è quello di mostrare come il negativo e la contraddizione siano l’essenza dell’arte anche per colui sotto la cui ala si producono gran parte delle riflessioni estetiche del secolo scorso, e cioè Hegel. La parte dedicata a Hegel è  una delle meglio riuscite. La tesi di Vercellone è che nel sistema hegeliano la forma in cui si manifesta l’essenza dell’arte non è quella in cui l’arte raggiunge la perfezione, l’equilibrio, la perfetta coincidenza tra spirito e materia e tra for- ma e contenuto, ossia l’arte classica, bensì l’arte simbolica e l’arte romantica, cioè l’arte pre e post-classica, in cui la forma sensibile non è adeguata al conte- nuto spirituale e concettuale che esprime. Ma è proprio questa inadeguatezza a costituire l’arte come momento di sviluppo dello spirito assoluto.Invece il clas- sico, per la sua pretesa di unire finito e infinito, una pretesa in ultima istanza il- lusoria, ha in sé il motivo del proprio tramonto. Ecco che allora, in questo qua- dro teorico, risultano perfettamente comprensibili il legame dell’arte con la di- mensione religiosa - proprio perché l’«intima portata antiestetica del cristianesi- mo» non è che l’altra faccia dell’«impronta essenzialmente cristiana dell’arte moderna» (p. 39) - e la tesi, che sarà tanto discussa nel Novecento, della “mor- te” dell’arte. La lettura di Vercellone mostra dunque come le prospettive filo- sofiche dei pensatori post o anti­hegeliani (da Kierkegaard a Schopenhauer e a Nietzsche, da Weiße a Rosenkranz) siano già, per così dire, “previste” nelle Le- zioni di estetica hegeliane. In fondo, «l’affacciarsi del brutto [e del comico] nell'e- stetica post-hegeliana» (p. 55) e lo sviluppo di uno sguardo storico sull’arte non sono che l’esito forse paradossale, ma inevitabile, della stessa concezione hege- liana del bello e dell’arte.

E a entrare in crisi non è soltanto il bello come ideale del fare artistico: ad ap- parire forse ancor più inevitabile è infatti la dissoluzione dell’opera d’arte come luogo deputato per eccellenza all’esperienza estetica. Questa, per lo meno, è la prospettiva ermeneutica con cui Vercellone guarda all’estetica di Kierkegaard e di Nietzsche, ma anche a quella di Wagner, Hugo e Baudelaire: così, la critica di Kierkegaard all’estetismo dell’attimo interessante, l’esaltazione schopen- haueriana del genio e della musica (in cui l’arte viene condotta al di là della stessa forma dell’arte) e la grande meditazione nicciana sul tragico come dispie- gamento dell’arte nella vita, per cui l’arte assume una rilevanza metafisica e on- tologica, ma anche la filosofia della storia dell’arte di Hugo (che contempla l’e- mancipazione dal classico per cogliere le figure del malinconico, del grottesco e del comico come quelle più adeguate a definire la situazione del moderno), la proposta wagneriana di un’opera d’arte totale e il realismo paradossale e anti- naturalistico di Baudelaire, sono tutte espressioni, in ambito estetico, dei modi dell’autoriflessione della soggettività moderna, la cui idea-guida è dunque quel- la «di una sorta di pervasività dell’arte che tende a trascorrere nella vita.» (p.96)

Sotto il paradigma della pervasività dell’arte (ricordiamo a questo proposito che questo è anche il titolo di un altro libro di Vercellone: Pervasività dell’arte, Mila- no, Guerini Studio, 1990) l’autore iscrive anche altri pensatori, come per esem- pio W. Morris, il cui «socialismo paradossalmente ispirato dall’idealizzazione dell’universo corporativo medievale» eredita «la struttura utopica del romanti- cismo» (p. 97) e dell’estetica schellinghiana e tende alla liberazione del lavoro dalla fatica in modo tale da coniugarlo al piacere estetico.

Una storicità diversa da quella di ispirazione romantica è invece quella che, connessa al concetto darwiniano di evoluzione, è propria dell’estetica del posi- tivismo, che relativizza la forma estetica a fattori di tipo ambientale, storico e sociale. Nell’estetica “descrittiva” di Taine, fortemente improntata alle conqui- ste della scienza moderna, tale impostazione viene connotata da un’inclinazio- ne classicistica e moralistica, dietro cui pare ricomparire il dettato hegeliano della “morte dell’arte”. In Guyau (molto ben articolato il paragrafo a lui dedica- to) si riaffacciano invece tesi tipiche del romanticismo tedesco: la vita come (il e la) fine dell’arte e l’arte come quel fare in grado di dilatare empaticamente i confini della coscienza. Decisamente antiromantico e al contempo antihegelia- no è invece da considerarsi secondo Vercellone il formalismo di Hanslick e di Fiedler.

Nel complesso si tratta di un lavoro ben strutturato, che raggiunge gli obietti- vi che un’introduzione deve porsi: chiarezza, completezza, sinteticità. È tutta- via chiaro che, per via dell’impostazione dell’esposizione, un’esposizione (in senso buono) non imparziale e non meramente descrittiva, bensì filosoficamen- te impegnata, alcuni aspetti dell’estetica dell’Ottocento, per un verso o per l’al- ltro non pienamente riconducibili entro il paradigma del rapporto arte/vita, ri- mangono gioco forza un po’ in ombra. Per esempio avremmo sviluppato in ma- niera forse più ampia il discorso relativo all’estetica di Schleiermacher, autore caro a Croce che comunque Vercellone ha il merito di riproporre all’attenzione del pubblico, dopo anni di oscuramento di stampo anti-crociano.Inoltre avrem- mo fatto almeno alcuni accenni, oltre che a Schelling e a Hegel, a un altro rap- presentante della filosofia classica tedesca: Fichte, un filosofo che, pur non a- vendo scritto alcun manuale di estetica, diede, “fra le righe”, un forte contribu- to agli aspetti più propriamente filosofici, per non dire “ontologici”, di questa disciplina, mettendo al centro della sua «filosofia trascendentale della vita» concetti di chiara estrazione estetica come quelli di immaginazione e immagi- ne. In ogni caso siamo ben consapevoli del fatto che in un’introduzione a una disciplina non è possibile dare spazio a tutto, soprattutto a chi contribuì al suo sviluppo unicamente in maniera implicita, se non laterale. Inoltre di questi au- tori si era già occupato P. D’Angelo nella sua Introduzione all’estetica dell’Idealismo tedesco (uscita anch’essa per i tipi de Il Mulino).

Sottolineiamo infine l’utilità delle ampie citazioni che Vercellone trae in ma- niera opportuna dai testi dei pensatori dell’Ottocento di volta in volta indagati. Corredano il volume un’ottima bibliografia a carattere introduttivo e un utile indice dei nomi.

 

 

 novembre 1999