Progetti esecutivi e parametri progettuali

 

Residenze sanitarie assistenziali

 

di Sebastiano Amato
 

 


 

  Finalmente, dopo molte peripezie, iniziano a prendere luce i progetti esecutivi
delle residenze sanitarie assistenziali finanziate con fondi previsti nella legge finanziaria del 1988 n.67 art.20. Gli anziani che hanno resistito, in situazioni a dir poco precarie, potranno sperare che entro un paio di anni potrebbero usu- fruire di questo nuovo servizio. Uso il condizionale perché di certo la realizza- zione e l’effettiva disponibilità sono ovviamente vincolati a finanziamenti in- tegrativi che lo Stato, le Regioni o le Usl dovranno reperire non essendo più at- tuali i costi previsti nella fase di assegnazione dei finanziamenti per le singole strutture, visto che sono trascorsi di già ben cinque anni.
  Ma non voglio soffermarmi sugli aspetti economico-finanziari degli interventi, che di certo condizioneranno la quantità o la qualità delle strutture che verran- no realizzate. Invece vorrei porre l’attenzione sugli aspetti legati alle progetta- zioni, perché è in questa fase che deve essere fatto il salto di qualità per supe- rare le vecchie condizioni del vivere, o piuttosto sopravvivere, nella terza età  segregati ed emarginati in ospizi o reparti geriatrici ospedalieri invece di vivere in ambienti stimolanti, integrati nel contesto urbano e sociale, che non consen- tano il crearsi di fratture traumatiche nello scorrere del tempo tra le varie sta- gioni della vita.
  L’aspetto progettuale, quindi, deve essere analizzato con grande attenzione e molta severità specie per quel che riguarda i requisiti che le residenze sanitarie assistenziale devono possedere, al fine di renderle effettivamente rispondenti alle reali esigenze degli anziani. Questi requisiti sono stati già in parte espressi sotto forma di indirizzi nel piano sanitario nazionale per il triennio '89/'91 e sono orientati alla individuazione di tipologie tendenti a favorire condizioni di vita il più possibile simili a quelle godute dagli anziani nelle proprie abitazioni, garantendo nel contempo, ma in modo molto discreto ed efficace, le funzioni di controllo sanitario e di assistenza. Tutto ciò deve essere tradotto in tipologie edilizie, che non hanno riscontro nella realtà italiana (non potendo di certo a- vere come riferimento le attuali residenze per anziani cioè gli ospizi), che ten- dano ad esaltare il carattere domestico degli ambienti degli spazi privati e ad e- liminare l’anonimità e l’asetticità, tipiche degli schemi degli edifici ospedalieri, negli spazi dedicati alle relazioni sociali ed alle attività di gruppo. Negli spazi privati devono essere concentrati i nuclei abitativi dove l’anziano, soprattutto se non autosufficiente, trascorrerà la maggior parte del suo tempo ed è in questi che deve essere maggiormente concentrato lo sforzo progettuale  (al fine di cre- are uno spazio riconducibile a livello psicologico al concetto di casa) all’inter- no dei quali l’area più strettamente privata delle camere e dei servizi e l’area collettiva del nucleo possano essere riconoscibili come «zona notte» e «zona giorno» di un medesimo alloggio. La gradualità del passaggio tra i livelli di au- tonomia e privacy dei nuclei è quelli di apertura e polifunzionalità degli spazi destinati alle attività sociali e ricreative porterà inevitabilmente ad impostazio- ni planimetriche nelle quali questi ultimi fungeranno da fulcro attorno ai quali si innesteranno i vari nuclei abitativi. Le relazioni che legano la struttura con il contesto urbano nel quale va ad inserirsi devono essere tali da consentire, pur nella specificità della tipologia, di essere percepita nelle soluzioni architettoni- che e distributive come casa tra case.


 

 

luglio 1993