Il problema delle riforme istituzionali in Italia

di Zeffiro Ciuffoletti

 

 

 

Bipartitismo o dualismo delle alleanze, hanno, sicuramente, favo- rito il passaggio alla democrazia compiuta in molte democrazie mo- derne. L’Italia ha bisogno di uscire dalle sue anomalie istituzionali e politiche. Tutti se ne dicono convinti, ma da oltre dieci anni, nono- stante una serie di piccole riforme e di aggiustamenti, l’esigenza di fondo non è stata ancora appagata. Oggi siamo in presenza di un vero e proprio labirinto di proposte di riforma istituzionale, aggravate dalla rigidità della nostra Costitu- zione.
   Il fatto è che un sistema politico nel quale le strutture di governo e di rappre-sentanza sono così palesemente inadeguate a garantire decisioni rapide ed effi- caci, assunzioni precise di responsabilità, trasparenza di comportamenti di go- verno e di opposizione, non ha la forza di trasformarsi da solo in una democra- zia governante, né sembra possibile in esso aprire la strada alle riforme istitu- zionali a colpi di referendum abrogativi (articolo75 della Costituzione).
   Forse si potrà sperimentare l’articolo138 della Costituzione, che disciplina i referendum popolari di conferma o di rigetto delle modifiche costituzionali ap- provate in sede parlamentare. Se il parlamento, che dovrebbe essere la sede nella quale, nonostante tutti i suoi limiti e i suoi difetti, le opinioni di riforma si discutono e si affinano, riuscisse a trovare la forza, che finora non ha trovato, di affrontare seriamente la questione istituzionale, si potrebbe aprire la via a re- ferendum deliberativi su tematiche o disegni di legge già dibattuti. Per ora il re- ferendum sulla preferenza unica ha posto al governo e al parlamento la questio- ne della riforma elettorale.
   Il problema è, ancora una volta, non tanto quello di disegnare l’ennesima «re- pubblica ideale», e quindi quello di prevedere un radicale mutamento del siste- ma elettorale.
   Si tratta, invece, di individuare le strade per introdurre, a partire dal sistema elettorale, «pezzi» dell’innovazione istituzionale complessiva che dovrebbe a- vere come scopo la trasformazione di questo ordinamento in una democrazia compiuta, secondo un percorso adeguato alla sua storia e senza crisi di regime. Crisi che potrebbero essere troppo traumatiche e innestare effetti perversi e im- prevedibili. Qualsiasi innovazione nell’ambito del sistema elettorale, punto ne- vralgico dello stesso sistema politico, dovrebbe favorire la ristrutturazione pro- gressiva del sistema partitico su alcuni poli principali, due o tre, più realistica- mente, riducendo la frammentazione e favorendo l’accorpamento.
   Si può notare che una strada del genere in campo elettorale è stata adottata in altri sistemi politici europei proprio al fine di compensare l’esigenza del plu- ralismo partitico derivante dalle tradizioni nazionali con quella della stabilità e dell’efficienza. Su questa via si sono mosse, dal dopoguerra ad oggi, non sol- tanto la Germania, la Svezia, la Spagna e persino la Francia, ma anche alcune delle nuove democrazie dell’est europeo.
   La strada per introdurre mutamenti istituzionali progressivi e non velleitari potrebbe essere questa, anche perché le opzioni alternativiste, che giocano tut- to sulla manovra elettorale maggioritaria e sul premio di coalizione, presumono meccanismi elettorali estremamente selettivi. Meccanismi che in una situazione di trasformazione del sistema politico, come è quella attuale in Italia, potrebbe-ro ingessare il mutamento, invece che indirizzarlo verso la ristrutturazione del sistema partitico.

 Naturalmente, come si è già notato, la riforma dei sistema elettorale non ba- sta ed è necessario incidere sia sul complesso delle normative elettorali sia sulla forma del governo sia sul tipo di Stato. Del resto sarebbe sbagliato pensare che, risolta la questione elettorale, tutto tornerà a posto come per incanto.

 C’è da compiere in Italia una rivoluzione culturale e morale, e c’è da riforma-re i criteri di formazione, di selezione e di lavoro dell’intera amministrazione pubblica, centrale e periferica, introducendo criteri meritocratici e di efficienza. Non sappiamo quale sarà la strada, per ora confusa e tormentata, che imboc-cherà l’Italia, certo è che non si può prescindere da un progetto di riforma isti-tuzionale che renda la forma di governo del paese più simile a quella che, pur nella estrema varietà delle soluzioni, si incontra nelle più funzionanti democra-zie europee con maggioranze chiare e responsabili e minoranze forti in grado di controllarle e stimolarle, e infine con la possibilità per i cittadini di premiarle o punirle, come in ogni vera democrazia.

 Infine, alle forze politiche bisogna ricordare che ogni cambiamento istituzio-nale profondo, se non interviene per motivi traumatici, ha bisogno di essere guidato e indirizzato.

 

 

 

ottobre 1992