Perchè una nazione

L i n g u a,   l e t t e r a t u r a   e   i d e n t i t à

 

di Giuseppe Conte

 

 

Qualche settimana fa, ad Imperia ho partecipato a una manifestazione cele- brativa, insieme, tra gli altri, ad Alessandro Natta, che, da quando si è ritirato dalla politica, è tornato a vivere in Liguria, ed è mio vicino di casa. Con consu- mata abilità retorica, l’ex segretario generale dell’ex Partito Comunista ha par- lato del sentimento dell’unità nazionale, della indivisibilità del nostro paese, è arrivato persino a dire che, sotto questo profilo, non tutto del fascismo era così

colpevole e sbagliato. Subito dopo, disse più o meno le stesse cose il sindaco democristiano della città: lo stesso tono accorato a proposito della patria e del bene che essa rappresenta.

Non ho potuto sottrarmi, lo confesso, a qualche domanda improvvisa e tor- mentosamente maliziosa: non erano quei discorsi di carattere un po’ troppo tempestivo e strumentale? Non erano rivolti soltanto contro il paventato se- cessionismo della Lega? E dove erano quei politici quando la Lega non esisteva ancora, o dell’unità e indivisibilità, della tradizione e dell’orgoglio, dell'impor- tanza e della necessità della nazione non importava un accidente a nessuno? Abbiamo vissuto per decenni in un’Italia senza stima di sé, esterofila in un mo- do straccione, dimentica della propria storia, di quello che vi è stato di altro e di grande nella propria identità culturale e spirituale. Unica manifestazione di attaccamento alla bandiera erano i campionati mondiali di calcio, con tutto quello che di cretino e teppistico può portare il tifo con sé. E ora è evidente, per rispondere alle provocazioni leghiste non si trovano che vuote parole, so- spetti buoni sentimenti, generiche dichiarazioni. Perchè si è dimenticato l'es- senziale. Che una nazione è fondata prima di tutto sulla sua lingua: e che la poesia fonda la lingua di una nazione: che, in sostanza, è la tradizione poetica il fattore determinante dell’unità di un popolo. Gli italiani che vogliono capirsi in quanto italiani devono tornare a Dante. Dante invocava «Alberto tedesco» per- chè venisse in Italia a incarnare il grande sogno ghibellino dell’Impero (non mi sembra che le simpatie tedesche di Miglio abbiano la stessa nobiltà ideale).

Eppure Dante con la sua poesia dà vita proprio a quell’idea di Italia che dopo di lui animerà i sogni di Petrarca, Alfieri, Foscolo, Leopardi. Furono due poeti - De Sanctis lo individua magistralmente - i padri spirituali delle due correnti di pensiero politico maggiori nel Risorgimento: Foscolo della corrente democra- tico-repubblicana, Manzoni di quella liberale-moderata. E' stata la poesia a cer- care poi per l’ «umile Italia» appena nata un destino, da Carducci a Pascoli a D’Annunzio.

La poesia mette insieme i sogni, la lingua mette insieme le anime, non perchè li omologhi, ma perchè permette loro di incarnarsi all’interno di un terreno co- mune. Sono un italiano perchè penso in italiano, scrivo in italiano, traduco in i- taliano, leggo in italiano il grosso di quello che  leggo della letteratura mondia- le. Amare la propria lingua non è un gesto nazionalista: io amo parlare francese quando abito a Nizza, inglese nei miei viaggi, ho amato imparare espressioni russe, arabe, tamil, farsi.

Ma è l’italiano che mi identifica, che mi dà il senso dell’appartenenza a una comunità di vivi e di morti, di un destino. I politici italiani non si sono mai so- gnati di difendere la lingua italiana. In Francia, il ministro della Cultura è detto anche «della Francofonia». E gli scrittori, i poeti? Quanti, in questo orribile cli- ma di rilassamento, etico e stilistico, hanno ancora la consapevolezza che è la lingua, la letteratura a fondare una comunità spirituale?

 

luglio 1993