V Conferenza Internazionale sulla Conservazione e il Restauro.

Università degli Studi di Firenze, 30 novembre-2 dicembre 1999

 

Dalle grandi alle piccole scale

di Cristina Giannini

 

 

 

Restauro, conservazione, tutela del patrimonio architettonico e dei manufatti artistici: sono da anni parole magiche che affascinano il pubblico e le nuove ge- nerazioni. Credo, temo, che di tutto questo si sia scritto e parlato molto, a vol- te a sproposito, a volte parcellizzando e frammentando ricerche importanti in siti editoriali di difficile reperibilità.Certo non è facile oggi, organizzare un con- vegno su questi argomenti e coniugarne logiche, posizioni, ambienti di lavoro.

La terza giornata della V Conferenza tenutasi a Firenze, voluta e impostata con la consueta competenza da Maria Grazia Ciardi Duprè, moderatrice attenta e infaticabile, ha avuto questo raro pregio. Materiali e oggetti da sempre trattati per così dire in tono minore, talvolta osservati con scetticismo, quasi non fos- sero manufatti artistici, sono stati associati  l’uno all’altro dando ai relatori la opportunità di disegnarne ‘quasi’ un affresco.

Se conservare vuol dire intervenire con un’opera di manutenzione costante anche su una scala lignea non monumentale, o su una tegola, così significa stu- diare tecniche e stili di oggetti in apparenza minimalisti; i manichini, per esem- pio, bambole da sempre considerate frivole figlie della moda, che si rivelano in- vece opere degne di ricerca perché concepite e costruite con la stessa cura e maestria delle sculture medievali policrome. Ancora la carta, questo supporto così fragile senza il quale non potremmo esprimere in tante forme il nostro sen- tire, il costume, i tessuti e le immagini che ne sono la testimonianza.

Piccole scale, forse, ma non esistono solo gli oggetti famosi, come tappeti e a- razzi, per fare il caso del tessile, argomento a lungo illustrato in questa sede; ci sono borse e cappelli, pizzi e merletti, copricapi e scarpe. Si tratta di tirare fuori dalla scatola delle meraviglie che la nostra cultura figurativa ancora contiene, una serie di materiali non anticlassici, semplicemente non classici.

Non esistono più arti maggiori e minori, sono state sostituite dalle piccole e grandi scale e di queste l’apprezzamento è difficile. Faticoso farlo capire ad una critica ostile e ostinata. Questi oggetti fanno parte di un mondo complesso e affascinante perché raccontano storie antiche e recenti, sono le comparse di u- na vicenda anche di costume che può essere capita solo se analizzata in manie- ra non monografica, affiancando competenze, intelligenze, idee diverse fra lo- loro.

Penetrare queste immagini e questi oggetti vuol dire aprire scrigni sigillati, difficili da indagare, faticosi da raggiungere. Capire le tecniche del manufatto, non solo amarlo per il suo aspetto esteriore, considerarlo così importante come un bronzo, un affresco, un marmo. Per far questo ci vuole molta umiltà, ostina- zione, anche la consapevolezza di indagare qualcosa che ha un preciso valore intrinseco, una consapevolezza che ha animato il lavoro di Ciardi Duprè da sempre.

Se è vero che nomina sunt consequentia rerum, allora basta pensare al collezioni- smo, alla storia del gusto, che non si è lasciata sfuggire questi oggetti e li ha a- mati, conservandoli gelosamente in case private, per avere la conferma del va- lore delle nostre ricerche, per dare un senso ai nostri sforzi. Il collezionismo, che è spesso alla base delle più grandi raccolte museali dei paesi europei, ha fili nascosti e suggestivi, ma sempre coerenti: seduzione e bramosia, possesso e go- dimento, paura della caducità.

Mi piace ricordare qui l’idea del collezionista di ceramiche come si legge in una pagina di B. Chatwin: «...Se per l’immaginazione del Settecento la porcella- na non era solo un materiale esotico come un altro ma una sostanza magica e talismanica - la sostanza della longevità, della potenza, dell’invulnerabilità - allora era più facile capire perché il re avesse riempito di quarantamila pezzi un intero palazzo. O perché avesse conservato l’arcanum come un'arma segreta. O perché avesse barattato i seicento giganti. La porcellana, concluse Utz, era l’antidoto contro la decadenza».

 

 

dicembre1999