Il caso di piazza della Signoria a Firenze
               La piazza tra  conservazione e progetto              

                                              di Enzo D’Angelo                           

 

 


  Oggi lo spazio è sostituito sempre più dal tempo come referente. Lo spazio è dequalificato. Ripercorrendo la storia della relazione tra oggettività e soggetti- vità dello spazio, da Hobbes alla fenomenologia contemporanea, stenteremmo a distinguere nel presente i termini della questione come, d’altronde, stente- remmo a riconoscerci in uno spazio struttura originaria dell’esistente e delle sue relazioni, secondo la descrizione di Heidegger. Troppo spesso lo spazio della piazza ha perso nella progettazione il ruolo di luogo privilegiato: è una pausa o un’interruzione anonima, luogo di funzionalismi affatto pregevoli con parcheg- gi, depositi, incroci semaforici, stazioni nel caso migliore, luoghi del vuoto ce- lebrato da De Chirico. La piazza ha perso la sua densità simbolica, il ruolo di scena e di luogo aggregante, di testo vivo della memoria.
  Consideriamo l’esempio di piazza della Signoria a Firenze, un testo con più stratificazioni che non possono essere ignorate. Lo stato attuale della pavimen- tazione non va bene ad alcuno. Che fare? Un intervento che apporti modifiche sostanziali, con l’adozione di nuovi materiali, forme, colori, incontra l’accordo come il disaccordo. Né seguire le indicazioni di un’occasionale maggioranza ci rassicura poi tanto di favorire la scelta migliore, visto che il numero non garan- tisce la competenza e che le maggioranze possono e devono mutare.
  Ecco, allora, l’importanza del confronto e del dibattito.
  Un intervento in piazza della Signoria è in qualche modo paragonabile ad un trapianto. C’è un organo da sostituire, con il coraggio necessario per affrontare il trauma e tutta la perizia possibile per prevenire il rigetto. Si deve praticare un’anastomosi, cioè un intervento chirurgico che colleghi il nuovo organo con le arterie del corpo ricevente. La ripavimentazione di piazza della Signoria non può essere risolta mirando alla pura conservazione che, in questo caso, non consentirebbe l’adeguamento di una superficie di calpestio con funzione d’uso, attualmente logora, composita o disuguale, unanimemente riconosciuta come non consona al pregio del luogo.
  La storia delle piazze italiane, escludendo lo spontaneismo degli esempi me- dievali e le piccole scale, è sostanzialmente la storia di chi vince o s’insedia; te- stimonia l’autocelebrazione del potente o di un potere che, a guardare le sorti dell’architettura italiana, oggi manca. Se qualcosa di buono c’è in tante situa- zioni di passività, è un certo limite per l’interventismo incontrollato e vari dan- ni. Eppure l’intervento conservativo e progettuale sarebbe quanto mai necessa- rio.

 

 

   La vacuità architettonica della pavimentazione rispetto alla presenza formalizzata del passato

   nell’oleografia ottocentesca. Da F. Bacciotti: Florence et ses environs, Firenze, 1888

 


  Torniamo al nostro esempio di piazza della Signoria.
  Qui si dovrebbe tener presente l’asimmetria del sito, adattando la nuova pavi- mentazione alle arterie e agli organismi esistenti, praticando l’anastomosi. La piazza è di già un intervallo nello spazio costruito. La diversità di materiali e di colori può costituire una cesura che la isola. Se però una certa diversità fosse infine ritenuta accettabile e preferibile, allora si dovrà studiare una forma di mediazione.
  Lo studio architettonico dovrebbe curare la coerenza con l’ambiente ricorren- do all’uso di materiali come il cotto o la pietra, ma dovrebbe pure mettere a punto una modulazione con equilibrio variabile. Badando a conferire con la se- rialità un piano d’appoggio discreto per i monumenti, ma senza contrastare con le irregolarità del perimetro, considerando quel nodo planimetrico aspro costi- tuito da Palazzo Vecchio, volume chiuso e severo, e dalla Loggia dei Lanzi, vo- lume aperto sensibilissimo alla luce. Due soggetti quasi accorpati, esempio tipi- co di assemblaggio contraddittorio, che comunque determina un angolo genera- tore di una delle due piazze, quella civica rappresentativa, non ignorabile nel ri- disegno che comprenderà anche l’altra piazza, la mercantile.
  Nel rispetto del luogo quindi, curando attentamente l’impatto con simulazioni e verifiche, c’è certamente spazio per una risposta contemporanea, con una progettazione che non può ricalcare così com’era alcuna soluzione del passato, senza operare un falso storico. Si deve intervenire con creatività esercitando il controllo prima della libertà, ripensando il paradigma sinfonico di un’opera già scritta, universalmente nota e memorizzata. Tuttavia la risposta progettuale ha un campo d’esistenza giustificato dalla stessa esistenza del problema.
  In questo caso non poco si può fare con un intervento cromatico tenue e con un disegno che invece di celebrare si accontenti di contenere un ricco testo. Ciò è possibile, ad esempio, con una maglia variabile in cui più tracce possano delicatamente sopravvivere in una composizione di planimetrie. Così una ma- croscala potrebbe riferire effetti prospettici e relazioni con le adiacenze, mentre una microscala potrebbe fornire i riferimenti archeologici, storici e, perché no, poetici, con soggetti, temi e citazioni, contemporaneamente presenti in più sca- le, in una narrazione architettonica odierna di una lunga storia di stratificazioni. Tra i vari riferimenti, uno particolarmente ricco di potenzialità simboliche e suggestive potrebbe essere inserito con una grande meridiana, emblema di quel tempo che, come lo spazio, ormai ci appartiene sempre meno. Un tempo che ci insegue, ci perseguita, mentre siamo sempre più convinti che, in fondo, non e- siste.
 

 

 

 

dicembre 1999

 

 

 

 

 

 

Dalla prolusione alla 2ªConferenza Internazionale sulla Conservazione e il Restauro (1996)