Transizione storica e linguistica in Grünewald

 

Il fantasma del corpo

 

di Enzo D'Angelo

 

 

                          

                      Sopra e in basso a sinistra: Crocefissione, Altare di Isenheim,

                                                       Colmar, Musée d'Unterlinden

 

 

  Nella inquietante corporeità dei testi pittorici grunevaldiani la fluidità plastica delle anatomie, che ha origine nella conti- nuità del linearismo gotico ma è ben lontana dal rendere figure staticamente ieratiche, dà vita a un’umanità metamorfica vista in tutta la sua transitorietà. Una fisicità deformabile e disfaci- bile, non più agente ma agitata da un movimento più spesso potenziale (1) o irreale che reale, determina l’insistita perma- nenza di una caducità senza alternative. Tuttavia non si tratta di un’estetica del provvisorio o della decadenza. L’antinatura- lismo di Grünewald non è soltanto vocazione ma circostanza e occasione tragica per de-costruire la struttura del corpo e dello spazio e ricomporne il significato.
  Il pittore
anticipa la crisi delle anime mettendo in crisi la figu- ra con coerenza estrema del linguaggio pittorico, della sua ca- pacità analitica e costitutiva di una realtà autonoma, forzando i limiti logici del formalismo. Né principio a priori né intuizione pura. Il criterio formale della composizione rimane fondamen-tale, nella convenzione o ai suoi margini, per l’organizzazione dei molti apporti disciplinari evitando la disintegrazione. Acca- de così che negli impianti iconografici, in fondo tradizionali, del Cristo deriso (Alte Pinakothek, Monaco), del Trasporto della croce (Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe) o delle varie Crocefissio- ni, la memoria dell’immobilità medievale e della compostezza umanistica non limiti lo sconvolgimento dei corpi venerabili, accomunati a quelli veneranti o spregevoli. Le distanze gerarchiche si riducono dunque ad un confronto tra simili dal comune destino che sprofonda nel tempo lungo della consunzione, troppo lungo per lasciar supporre il risorgere.

 

 

              

        Da sinistra: Trasporto della croce, part., Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe; Incontro

          dei santi Erasmo e Maurizio, Alte Pinakothek, Monaco.

      

 

  La rilettura genealogica del corpo e della sua immagine, come la conseguen- te ritestualizzazione nello spazio-contesto, che laddove abolito rimane sempre implicato dallo stesso corpo che riesce a generarlo  –  si pensi al S.Maurizio che incontra S.Erasmo (Alte Pinakothek, Monaco) –  sono parallele ad un processo nichilistico nel quale alla ribadita mortalità del Cristo corrispondono la condan- na del feticcio mercificato di Dio ed il travagliato rapporto protestante tra uma-
nizzazione del divino e valutazione di una socialità in trasformazione conflit- tuale, tra ineluttabile frazionamento del sistema e fantasma del tutto.

  Sullo sfondo del frammentario paesaggio dei valori è la liberazione simbolica del pittore che, guardando prospetticamente nell’apparato della cultura con- temporanea, attraversa le apparenze e cerca nel linguaggio formale la verità più cruda per dei nuovi abiti simbolici. Ma, fintanto che nel duraturo si cela la finzio- ne, il simbolo si dilegua in tante direzioni offuscandosi nella contraddizione. Rimane il corpo, l’entità speculare, unico luogo e mezzo per riconciliare fatto e segno, umano e sovrumano. Mentre una temporalità sempre più relativa e con- tingente fa sentire l’esaurirsi di quel tempo eterno cristianamente destinato a finire solo con la fine del mondo, ecco il transitare costituirsi in realtà, il vero rendersi reperibile solo nella caducità.

 

  

                               

                                Crocefissione e part., National Gallery, Washington

 

          

  Grünewald affida al linguaggio del corpo, generato e disperso nella fugacità del movimento, alle sue virtù sensorie, quando non si sterilizzino nel feticismo dei rapporti esistenti nella società, una funzione rivelatrice essenziale nel per- durare dell’indeterminatezza del sistema in trasformazione. Stante la crisi o la rottura, urge un’alternativa alla parola, meno compromessa e che porti in sé u- na più diretta espressione dell’interiorità comune o comunque sopra le parti. Un’alternativa che dopo il conflitto tra i rapporti esistenti in precedenza con- senta il ristabilirsi di un equilibrio.

  La fede e lo scetticismo di Grünewald, che oppone i contrari in equilibri for- mali, coesistono in un movimento dei corpi quasi mai univoco che procede punctum contra punctum, abbinando contrasti espressivi tra corpo-mani, volto-ma-

ni, mano-mano e perfino intra-mano. Da qui la continuità visiva tra stati oppo-sti di tensione-rilassamento, attenzione-distrazione (o astrazione), disperazio-ne-rassegnazione, tacere-parlare (gemere o urlare), fissa una doppia fase psico-logico-temporale in una vibrazione fisica unica. Così compreso, il transitare del presente non prevede né prima né dopo se non la propagazione del moto già percepito. E il riverbero non fa che ripetere, ovvero perpetua, il presente raffi-gurato.

  Questa tendenza del movimento del corpo, e sopratutto del gesto, a trasporsi ancora nel perenne appartiene a un soggetto che ormai non riesce più a placarsi nell’immobilità dell’eterno. La mobilità senza fine avvalora una precarietà che, più che presagire il transito verso la salvezza o la perdizione, ora avvalora il transitorio, il perdurare del passaggio. Anche nelle figure più stabili vibra un moto, esterno o interno, che ne definisce carattere, ruolo scenico e relazioni sim- boliche, e che nel gesto trova il suo punto d’arrivo, di completa e a volte unica manifestazione.

  L’autonomia del gesto dalla funzione mimetica e ausiliaria alla parola, appro-do comune per Cicerone (2), Quintiliano (3), Agostino (4) ed i teorici classici, è  ancora più evidente nell’opera di Grünewald dove il necessario, cioè il previ- sto, tende a escludere il caso ed ogni presenza, azione o minimo elemento, ten- de a farsi segno.

                                                                                                                               

                  

                        Crocefissione e part., Öffentliche Kunstsammlungen, Basilea

 

 

  La gestualità emergente è senza dubbio quella delle mani, che uguaglia l’e- spressività dei volti, e a volte prevale, con un valore segnico che sembra esten-dersi a comprendere quell’ «imponderabile» alla cui evidenza la vocazione crip-tica di un Wittgenstein assegna «le sottili peculiarità dello sguardo, del gesto, dell’accento» (5). Disegnate o dipinte le mani di Grünewald «inventore di se- gni», il soggetto emancipato da Nietzsche come il  «più acutamente cosciente di sé», attirano in contemplazione Heckel, Rouault, Matisse e Picasso, sotto l’incantesimo di una grammatica che si sviluppa con la coscienza (7), mentre il loro copiarle più che scoperta è un «riconoscere...ricordare...ritornare all’anti-chissima comune dimora dell’anima» (8) che il corpo imprigiona.

  Immortale, per i platonici, o mortale, per gli aristotelici, nel Rinascimento l’a-nima coincide con l’involucro corporale secondo approssimazioni molto diver-se. Per un Lutero, ad esempio, sia l’anima che il corpo, per il quale attenua la severa disciplina medievale,  sono in ogni caso da redimere (9). Di conseguen- za nell’area che esprimerà la solenne protesta, in cui Grünewald si ritrova, il moto fisico rimane, come in passato, espressione visibile dell’anima che, attraverso la disciplina della gestualità, può essere controllata nelle sue tentazioni e nei suoi errori. Il corpo è quindi condizione dell’anima che lo condiziona e ne è condi- zionata.

 

 

       

        Part. mani in sequenza da sinistra: da Natività, da Annunciazione, da Crocefissio-

           ne, Altare di Isenheim; da Crocefissione, Öffentliche Kunstsammlungen, Basilea

        

 

  Il dualismo di questa identità esplode nella mimica delle mani che evidente-mente non si limitano a rendere verba visibilia (10), le parole visibili di Agosti-no, nemmeno nei casi didascalici del centurione Longino nella Crocefissione di Basilea (Öffentliche Kunstsammlung) e del Battista della Crocefissione di Isen- heim (Musée d’Unterlinden, Colmar), dove il testo scritto nulla aggiunge alla e- spressività delle figure. Le mani piuttosto separano il gesto dalla parola, e non provano un limite pittorico quanto l’autonomia rappresentativa che introduce dinamismo nello statuario fissando il variare di tempo e azione. Ma l’indipen- denza delle mani, in primo luogo dal volto, manifesta sopratutto un’interiorità che contrasta o ignora la mediazione vocale e di altre parti del corpo, rigettan- done l’ambiguità o il silenzio. Il perdurare del dualismo teologico si riflette sul- la coscienza e l’identità portando alla scissione linguistica reiterata nel moto perpetuo articolare.

 Questo rivivere della gesticulatio medievale, popolare e profana, opposta al ge- stus, nobile e religioso, potenzia la tendenza destabilizzante del movimento a- cuendo il confronto tra ordine e razionalità del sistema con il disordine e l’irra- zionalità del suo trapasso. Però l’impeto della gesticulatio invece che deprimere o inaridire l’interiorità ne plasma l’esistenzialità aggiornata, de-gerarchizzata e pertanto collettiva o quantomeno diffusa. In questo modo la gesticulatio assurge a signum denso di virtù testimoniale e capace d’interferire con la realtà. La se- rialità gestuale che unifica fedeli e religiosi, tra loro e con Dio, ora rivela la sua fragilità anche nel gesto minimo. E se nella serialità della mimica monastica si arriva a perdere il possesso dell’individualità, qui, nell’estrema articolazione e disarticolazione delle dita, se ne può perdere il controllo, arrivando col segno più comunicante a smarrirsi nell’ «imponderabile». E’ come riconoscere la limi- tatezza umana nella solitudine di ogni singolo destino, la disperata libertà di un corpo che non si sente più sotto lo sguardo di Dio.
 

 

 

 

ottobre1993

 

 

 

 

 

 

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Note


1. Per potenziali intendiamo due o più movimenti possibili ma non contemporanea- mente.

2. Cicerone, De oratore, III, 59, versione di E.Giovannetti, Milano, 1928, p.325.

3. Quintiliano, Institutio oratoria, XI, III, a cura di J.Gariglio, Venezia, 1858, pp. 1231-1300.

4. Agostino, De Magistro,7,19, a cura di M.Bettetini, Milano,1993, p.43. De  doctrina christiana, II, 3.4, pp.62-63; II, 25.38, pp.106-107. Opere esegetiche, vol.VIII, Roma,1992.

5. L.Wittgenstein, Schriften,3, Frankfurt, 1967, p.540, in Lezioni e conversazio- ni, Milano,1988, p.4l.

6. F.Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 354, trad. di F.Masini, Milano,1971, p. 210.

7. F.Nietzsche, Al di là del bene e del male, aforisma 20, trad. di F.Masini, Mila- no,1977, p.25.

8. Ibid.


9. In De libertate christiana, XII,  Lutero definisce l’anima «povera, disprezzata, malvagia, piccola meretrice» (trad. it. di G.Miegge, Torino,1970, p.38) mentre per il corpo prescrive che debba «essere incitato e addestrato con digiuni, con veglie, lavoro, e con ogni disciplina» (ivi, XX, p.49).


10. Agostino, De doctrina, cit. II, 3.4, pp.62-63.