Democrazia ereditaria

di Enzo D'Angelo

 

 

 


  La democrazia è quel bene comune, incerto e cagionevole proprio perché co- mune, che si rivela sempre costoso, tanto da conquistare che da mantenere. E' un titolo di stato che appena ne aumenta la rendita si ribassa per l’inflazione e, quanto più è posseduto tanto più rischia di essere svalutato dalle speculazioni sulle certezze, la fiducia e l’apatia della società. Un bene che quando è diffuso è apprezzato da pochi, mentre più d’uno pensa di poterne fare a meno e persi- no di poterlo vendere come l’anima o un rene, per soddisfare uno sfizio o un bisogno.
  Anzi l’anima, con la sua unicità profonda e recondita, è in fondo meno neces- saria di un organo doppio; consolante per alcuni e ingombrante per altri, per il loro vivere quotidiano e ancor più per soprav
vivere. Un’identità eccessiva è un altro bene superfluo, soprattutto in un tempo in cui non si è e non si deve esse- re chi si è, non chi si era o si sarà, ma si è chi non si è. Nel mercato politico, complesso come la società che lo determina, il singolo insomma si orienta ma- le. Ecco perché s’impone il ricorso all’esperienza di intermediari.
  Gli italiani queste cose le sanno, perciò delegano, non per acquiescenza ma in piena consapevolezza.Essi hanno sempre saputo, specialmente nell’ora di cam- biare, che se con il principio e la cultura di un sistema, quello democratico sta- volta, se ne eredita anche la gestione allora c’è di che stare tranquilli.
  No, non è come dire che, caduta la repubblica, i governanti repubblicani si apprestino a governarci con le regole della monarchia. E' che fanno di tutto per soddisfarci. Per questo ce li teniamo.
  Un sistema si può cambiare come si vuole, alcune specifiche competenze co- me quelle politiche no. Ci siamo convinti di volere il sistema elettorale unino- minale o la monarchia? Eccoli che ci accontentano ed ecco una dimostrazione di come siamo ben rappresentati. Altro che teoria elitistica della democrazia! Sarebbe ora che anche la Costituzione e il diritto si adeguassero alla consuetu- dine e alla realtà di fatto. D’altra parte non sarebbe il mero legalismo, ora più che mai, utopico? Nell’attuale fase di passaggio, chi se non i nostri collaudati politici potrebbe garantire il bene comune dalle manipolazioni delle parti con- trapposte o di un potere occulto?
E poi non sono essi i primi ad invocare e a beneficiare di quelle nuove norme che si affermeranno, quali che esse siano?
  Di fronte a crisi istituzionali o di credibilità, la democrazia elettiva di altri paesi garantisce ai responsabili una via d’uscita in nome dell’alternanza come, del resto, accade anche nei regimi monarchici con l’abdicazione e l’esilio. Nella nostra democrazia ereditaria è garantita invece la continuità che impedisce a chiunque di sfuggire alle proprie responsabilità con relativo impegno, sacrificio o supplizio, assicurando la governabilità a qualunque costo. Una democrazia non è più credibile quando è incapace d’aggiornare i rappresentanti della socie- tà o ne ignora i cambiamenti e gli orientamenti. In questo caso può essere pre- da di un’élite che, come diceva Lipset, compete per ottenere voti da un eletto- rato passivo. Dunque bisogna far coesistere la professionalità politica, acquisita in lunghi anni con alti costi per il più volte eletto e per la collettività, con la re- sponsabilità dell’operato e soprattutto con il necessario cambiamento che, si auspica, i cittadini chiedano. Nella nostra democrazia perfezionata ciò accade.
  Con un furore popolare che sempre più spesso si alterna con la passività del- l’elettorato i nostri impavidi rappresentanti, rimasti senza ideologia e identità politica, perseverano nel loro compito, consci di essere rimasti l’unica garanzia con la loro presenza. Costoro pregano di notte, si riuniscono all’alba e, di gior- no, assicurano il funzionamento del parlamento e dei consigli comunali.
  Eccoli, immobili, stoica cacciagione per notiziari. Resistono alle inquisizioni e al disprezzo di chi li conosce e di chi non li conosce. Non guardano più in fac- cia nessuno ma continuano ad abbracciarsi tra loro. Si muovono come clepto- mani, la mente in una realtà diversa da quella in cui deambulano, alla ricerca di qualcosa da afferrare per poterci garantire ancora in qualche modo.
  Orfani della storia, vittime del dovere e della cronaca, disposti a restituire tutto tranne il diritto a immolarsi ossia il mandato ereditario. Chieder loro «Chi siete? Cosa vi ispira nell’agire?» sarebbe infierire con preventivo disprezzo sul- l’eroica risposta: «Siamo chi e cosa vorrete».
  I nostri rappresentanti, ormai martirizzati quanto i rappresentati, credete, non aspettano altra liberazione che il cambiamento e una nuova forma, come ogni buona pasta lavorata, né dura né molle, ma pronta.
 

 

 

 

 

ottobre1993