La democrazia non
sarà matura se non sarà pienamente sociale. Abbiamo più volte
constatato che la fine del comunismo non va vista come l’automatica
conferma della vittoria del capitalismo: anzi le esaltazioni
superficiali ed inte-ressate di qualche anno fa hanno
rapidamente ceduto il passo ad una riflessione più seria sulle
difficoltà che la fine di un’illusione apre per il futuro delle
demo-crazie
industriali contemporanee, tra cui la nostra.
La democrazia ed
il mercato vanno regolati sulla base di valori di
solidarismo e di giustizia. Non sarà
possibile affrontare la nuova fase se non si recupererà il senso dei
valori, della loro gerarchia, la centralità della dignità della
persona u- mana, dei suoi diritti, della
sua coerenza solidale con la comunità.
Il nostro impegno
è quello di contrastare, sul piano culturale e su quello della
iniziativa rivendicativa, le suggestioni pericolose di un
capitalismo propenso a restringere i margini di partecipazione.
Restìo a fissare regole nuove per l'afflus-
so del risparmio e la regolazione dei processi di accumulazione.
C’è una via
interna al sistema capitalistico, ed iscritta quasi per memoria
nella nostra Costituzione, che è quella della partecipazione alla
vita dell’impresa. Una via che è stata parzialmente esplorata ma che
oggi viene rilanciata da og-gettivi problemi di qualità e di
competitività. E’ la via della capitalizzazione di massa,
dell’apertura del mercato azionario, dell’impiego dei fondi
pensione, della possibile accumulazione per servizi sociali, come
manifestazione concreta di solidarietà e di vincolo rispetto alle
generazioni future. Abbiamo ora questa grande opportunità delle
privatizzazioni, il cui dibattito si è finora incentrato, purtroppo,
solo sull’aspetto contabile. Perchè non
far diventare questo momen-to come il vero spartiacque della nuova
democrazia economica, per cambiare, definitivamente e radicalmente,
il capitalismo nel nostro paese? Successiva- mente si tratterà di
decidere, come è accaduto in altri paesi europei, chi parte-
cipa al cosiddetto “zoccolo duro”, cioè
al gruppo di controllo delle azioni. Si innescherebbe così un
circolo virtuoso per garantire una evoluzione positiva, con una
economia sinergica tra quanto va bene e quanto va male, all’interno
del meccanismo pubblico. Questo percorso potrà/dovrà trovare una
verifica al- l’interno del negoziato generale per la modifica della
struttura contrattuale (ri- partendo
dall’accordo del 31 luglio) affermando una modello partecipativo
for- te, autonomo, unitario, che si pone
come strumento per la trasformazione del sistema politico e delle
istituzioni, che negozia e conclude sulla base dei suoi interessi e
della capacità di interpretazione da sé, interessi generali.
Sappiamo bene,
tra l’altro, come sia difficile oggi ricomporre tutti i termini
problematici del nostro Welfare State.
Siamo di fronte, al tempo stesso, ad una crisi del suo “modello” e
ad una crisi del suo “governo”. Ma dobbiamo
ricono-scere che le fondate
critiche ai limiti, ai servizi, ai costi dello Stato sociale
ri-schiano
di liquidare, assieme a prestazioni inadeguate e ingiuste, domande e
significati che hanno giustificato e giustificano l’esistenza stessa
dello Stato sociale. Una cosa devono sapere i lavoratori in questa
fase: aver finalmente ot- tenuto la
riforma delle pensioni significa aver garantito, prima di ogni cosa,
il diritto alla pensione alle generazioni future. A tale principio
si ispirano del re- sto alcune importanti e recenti innovazioni, da
noi fortemente volute, come la separazione tra previdenza e
assistenza, come la delegificazione e la
ristruttu- razione dell’Inps.
La funzione sociale fondamentale della pensione resterà quel- la di
assicurare la tutela della sfera dei diritti di cittadinanza che
connotano una società avanzata e di realizzare tale obiettivo
secondo il principio della solida- rietà
sociale. Il che significa, appunto, assumere come base fondamentale
di fi-nanziamento
un sistema fiscale fondato sull’equità, integrata da una
contribu-zione
sociale, riformata nelle sue basi imponibili, per le prestazioni di
natura strettamente previdenziale e, comunque, collegate a
specifiche posizioni di red- dito e
professionali nella vita di lavoro. Principio universalistico può
voler dire oggi non “tutto a tutti”, ma a me certe prestazioni e
certi servizi, il riconosci- mento di una base comune, e poi, una
serie di opportune differenziazioni in ba-
se a necessità, opportunità, capacità di spesa.
Sono queste le
nostre proposte di merito, nel campo della riqualificazione dello
Stato sociale. Muoviamo dalla riconferma della universalità delle
presta- zioni fondamentali e, quindi,
dalla esigenza di innalzarne gli standards
quali- tativi a livelli compatibili con
le domande dei cittadini. In campo previdenzia-
le, dunque, rimaniamo in maniera intransigente difensori del sistema
pubblico. Sappiamo bene che proprio dalla riforma arriverà
l’incentivazione alla previ-denza integrativa, regolata dalla stessa
legge delega. Ma escludiamo in maniera netta che essa possa
svolgere in qualche modo una funzione
surrogatrice. Si tratterà, al contrario, di affermare un
principio nuovo di solidarietà attraverso un trasferimento di
risorse ad un sistema di capitalizzazione di investimenti a
medio-lungo termine, riconoscendo ai
lavoratori la partecipazione alle scelte di indirizzo degli
investimenti. Sarà dunque la frontiera della vera democrazia e-
conomica.