Pittore di Penelope,
Telemaco davanti alla madre Penelope,
scifo
attico
(part.),V sec. a.C.,
Museo nazionale archeologico, Chiusi
Telemaco non è soltanto un romanzo pedagogico;
Fénelon pratica già discre-
tamente la tecnica dell’artificio, presto caro
al Montesquieu delle
Lettere persia-
ne. Abbraccerà così
l’insieme delle conoscenze tramandate dall’antichità, l'uma-
nesimo greco e latino, la dottrina della
Chiesa, le aspirazioni politiche e sociali, in una sorta di prisma, in un
crocevia dove la sua personalità fine e duttile
cer-
ca
e trova la soluzione dei problemi teologici, politici, economici.
Parte da uno stato di fatto: l’assolutismo reale, le difficoltà di un
paese conse- gnato
alle disuguaglianze sociali, oberato dalle
guerre, sottomettendosi alle im- poste
distribuite disugualmente, pagando il lusso e
i sogni dispendiosi del so- vrano e dei
grandi, vittima anche delle liti religiose, della revoca dell’editto di
Nantes, dei sommovimenti giansenisti o delle dispute, quietistiche di
Madame Guyon e di Padre
Quesnel. Fénelon è informato di tutto,
in contatto diciamo con tutti, il mondo protestante
delle nuove convertite, Madame de Maintenon,
Bossuet, il duca di
Chevreuse, il duca di Bouvillier, i
gesuiti. E' costantemente sulla breccia, ed ecco che gli si chiede di
formare un re: il duca di Borgogna, di notevole intelligenza, al contrario
del Gran Delfino affidato a Bossuet, e in cui
coabitano il bene e il male, i vizi e le virtù, stando a quello che dicono
Saint-Simon ed altri contemporanei. Sarà la
grande vittoria di Fénelon,
di breve dura- ta purtroppo,
perchè il duca morirà giovane.
Gli storici non possono immaginare cosa sarebbe stato il suo regno. Ci
avreb- be
risparmiato la Rivoluzione? Essa ha dovuto sconfiggere un re
feneloniano che non aveva la stessa forza
intellettuale. Delle idee si muovevano,
Paul Ha- zard
ha descritto da maestro la crisi delle coscienze di fine Seicento e
d’inizio Settecento. Fénelon fa già parte dei
Lumi, ha una disposizione tale che gli con- sente
di giudicare con imparzialità, di condannare e lodare, soprattutto di pro-
porre dei rimedi. Salento è l’immagine del
Progresso, Idomeneo quella del re ri- formato
che si fa riformatore. Ma non è soltanto il
duca di Borgogna ad essere l’allievo di Fénelon,
lo siamo noi, lo sono gli innumerevoli lettori del romanzo.
Per convincere, Fènelon sa che bisogna anche
e soprattutto sedurre e nello stesso tempo istruire. L’Iliade
e l’Odissea, l’Eneide
di Virgilio, le Metamorfosi
di Ovidio, i tragici greci, la storia, la
leggenda, la mitologia formano l’alfabeto di una poetica guidata, che si
vuole formatrice e riformatrice. Tutto e tutti servo-
no al messaggio feneloniano dominato da
Mentore; Calipso ed
Eucari, le ninfe, Venere, Nettuno, Giove, l’Olimpo, gli Inferi sono
servitori del messaggio come Idomeneo, Nestore,
Filottete, Sesotri,
Narbale; Adrasto è il negativo di una dottrina
positiva della giustizia, della carità, della tolleranza.
Il mondo mediterraneo, l’Egitto, la Fenicia, la Magna Grecia ci
chiamano; po- co
importa sapere se Telemaco
è un poema o un romanzo. Fénelon usa la
remini- scenza, le
allusioni, le imitazioni, anzi i riferimenti a
Omero di cui si dice il mo- desto continuatore. Ma nel
Telemaco, l’antichità
lascia vedere un mondo molto moderno, un edificio cominciato e che bisogna
costruire. Lo hanno visto i con- temporanei, gli scrittori del
Settecento, e perfino i romantici.
Telemaco è vera- mente un modello e, grazie a
Fénelon, Mentore da nome proprio è diventato
nome comune per designare la guida e il capo spirituale.
Il messaggio di
Fénelon è un’apertura sui Lumi e la Luce, come
l’idea di pro- gresso cara al Settecento, è un
leitmotiv del racconto.
Leggiamo un’Odissea, ma un’Odissea dell’anima, nell’invenzione profonda
dell’autore, che ci propone un corredo di
esperienze e di cognizioni per promuovere la nostra perfezione
spi- rituale e morale.
Tuttavia non abbiamo mai finito di estrarre il contenuto dal
forziere del tesoro. Nei drappi, nelle stoffe tessute da una mano allegra,
secon- do i disegni forniti dell’antichità, si
nascondono delle perle e delle gemme che dobbiamo imparare ad ammirare.
Come eclissa il libro postumo del giansenista
abate Duguet,
Institution d’un prince
ou traité
des qualités;
des vertus
ou des
devoirs d’un souverain,
uscito nel 1739,
che dorme
in-quarto nelle nostre biblioteche!
Ma l’abate Bremond, che ammirava
Duguet per altre opere, preferiva il romanzo
di Fènelon.
Quante generazioni si
sono formate leggendo il Telemaco
! L’attuale
imperatore del Giappone ci ha imparato la
nostra lingua. Le armonie di Telemaco,
alle quali l’abate Bremond era così sensibile
nella sua
Histoire
littéraire du
Sentiment religieux
en France, sono come delle onde
che si propagano attraverso il Settecento, toc-
cando con la loro grazia l’Idomeneo
di Mozart e vengono a marezzare i
Martiri e il
Genio del Cristianesimo.
Ma andiamo più in là. C’è un’altra realtà
oltre quella informativa che il
Telemaco ci offre, quella
della libertà dello spirito.
(traduzione di Denise Visentin)
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