Considerazioni sul federalismo
di Ennio Di Nolfo
 



  Il federalismo, così alla moda oggi come tema di discussione in Italia, presup- pone un minimo di intesa linguistica. La definizione si applica infatti almeno a realtà istituzionali, profondamente differenti: gli stati federali e gli stati a ordi- namento decentralizzato. Il primo caso, che è esemplificato in modo ben netto dagli Stati Uniti d’America, prevede che diversi stati, formalmente indipendenti per gran parte dei settori della loro attività siano federati in una sola entità alla quale essi hanno, nella fase costituente, delegato il compito di governare inte- ressi generali comuni. Di solito questi interessi riguardano la politica estera, la difesa, il coordinamento della politica economica rispetto all’esterno e la garan- zia della tutela delle norme costituzionali federali. Tutti gli altri poteri sono competenza dei singoli stati, i quali sono privi di personalità internazionale ma dispongono di una vasta serie di potestà interne specialmente in materia fisca- le.
  Che si tratti poi di una realtà vissuta attraverso fasi di perenne tensione fra potere federale (cioè presidenza degli Stati Uniti) e potere degli stati, cioè pote- re dei governatori e dei legislativi statali, è circostanza che non riguarda la na- tura del sistema istituzionale.
  Sul medesimo piano degli Stati Uniti d’America si colloca, in prospettiva, il federalismo europeo, dal momento che il suo obiettivo è di spingere i singoli stati europei verso una definitiva cessione di sovranità a favore di un governo federale, il governo degli Stati Uniti d’Europa, che ponga termine alla sopravvi- venza di stati-nazione sostituendoli con una sorta di nazionalismo europeo: un ideale nobile ma forse di remota realizzazione.
  E’ dunque evidente che il concetto di federalismo di cui si dibatte oggi in Ita- lia non ha nulla a che vedere con i modelli internazionali citati, se non altro perché esso riguarda la vita di una sola nazione, il cui ordinamento dovrebbe essere trasformato in modo federale. Basta questo enunciato per indicare i due concetti base del federalismo all’italiana. Si tratta in altri termini di distinguere tra federalismo concepito come diversa articolazione dell’ordinamento istitu- zionale italiano e federalismo concepito come metodo per frantumare il potere centrale, contraddire la presunzione dell’esistenza di una
«nazione» italiana e porre le basi per costituire un agglomerato di regioni che, per tradizione o con- venienza, si colleghino in un ordinamento federale, trasformando lo stato da Repubblica Italiana in Stati Uniti d’Italia.
  Sulla legittimità ideologica del federalismo italiano non vi è nulla da eccepire. Esso ha le sue profonde radici nel dibattito preunitario: venne concepito dai moderati come Cesare Balbo o Vincenzo Gioberti, come mezzo per mettere in- sieme i diversi stati italiani senza provocare troppe fratture e, in particolare, la- sciando al potere in ogni regione le diverse dinastie esistenti. Venne concepito invece dai democratici, come Carlo Cattaneo, il grande sostenitore del federali- smo e il maestro del pensiero democratico italiano, come il frutto del processo di una graduale aggregazione delle realtà locali (le città in primo luogo) in realtà regionali, poi unite in un vincolo federale che riconoscesse le diversità origina- rie, e al tempo stesso anche l’esigenza di dare loro una espressione comune nel- la formazione di uno stato organizzato in modo federale, come espressione an- che della presa di coscienza dell’esistere di una nazione italiana.
  Il federalismo attuale ha solo in parte le sue radici in queste tradizioni. In par- te esso ha trovato nuove radici nella profonda divaricazione verificatasi in Ita- lia sul terreno dello sviluppo regionale e sulla percezione delle diversità - talora stridenti - imposte da un potere centralizzato mosso da una visione consociati- va. Questa divaricazione originò, nella seconda metà degli anni ottanta, il mo- vimento di protesta leghista e diede a tale movimento una forza dirompente rispetto al sistema politico italiano, ponendo così la questione del federalismo in primo piano tra le tematiche di una riforma istituzionale che dia origine alla Seconda Repubblica. In questo ambito sono dunque necessarie idee chiare. Non vi sono né avrebbero senso, posizioni di netto rifiuto di una trasformazio- ne dello stato nazionale italiano in uno stato organizzato su base federale. Per base federale si può intendere un’estensione effettiva delle competenze delle regioni in primo luogo al campo fiscale, poi a quello della pubblica istruzione, a quello dello sviluppo economico (ma coordinato con i progetti delle altre regio- ni). Si può anche pensare che tale estensione giunga al limite estremo di circo- scrivere le competenze dell’amministrazione centrale secondo modelli affini a quello degli Stati Uniti d’America
  Tuttavia già qui si entra su un terreno scivoloso, considerata la profonda di- versità delle situazioni locali e il diverso grado di pressione scissionistica.
  Non vi è dubbio che esistano in Italia profonde diversità culturali ed econo- miche regionali. La creazione di un sistema costituzionale fortemente decentra- lizzato, grazie al quale le regioni abbiano poteri e risorse proprie non delegate dallo stato centrale ma direttamente afferenti all’esistenza della regione stessa, potrebbe attutire gran parte delle proteste di diseguaglianza o di disparità di trattamento. E’ chiaro a tutti che la protesta della Lega, poi elaborata in modo più articolato, ebbe la sua origine sociale nella sensazione dei ceti produttivi settentrionali di essere sfruttati dal potere centrale a favore di una politica pa- rassitaria corrotta e intesa a incanalare risorse non verso la crescita delle parti meno ricche del paese, cioè verso il Meridione, bensì verso imprese qualificate in primo luogo dall’opportunità di offrire un terreno fertile alla corruzione o al crimine organizzati. In senso opposto, non vi è nemmeno dubbio sul fatto che i cittadini di origine meridionale possano ricordare ai produttori del nord che lo sviluppo del sistema industriale italiano deve molto sia all’esproprio del capita- le agrario accumulato in prevalenza al sud ma usato con profitto nelle più forti (per varie ragioni convergenti) industrie settentrionali, sia alla mano d’opera a basso costo di cui negli anni del miracolo economico le grandi industrie setten- trionali favorirono l’emigrazione verso il nord. Questo tipo di argomenti è tut- tavia il frutto solo di una disputa astiosa che, vista con gli occhi dello spettato- re contemporaneo, ha solo il valore di memoria storica. Il problema è quello di decidere invece se allo stato Italia che si avvia verso una riforma costituzionale convenga meglio un sistema regionale o un sistema centralizzato. In tal senso l’esperienza delle regioni (dalla loro creazione nel 1970) non induce ad eccessi di ottimismo. Tuttavia possiede un grande valore l’osservazione secondo cui tale fallimento sia proprio l’effetto dei limiti della delega di poteri da parte del- lo stato o, meglio, del fatto stesso che le regioni non abbiano poteri propri ma posseggano competenze solo in quanto trasmesse dallo stato. L’impostazione federalista muove, in senso libertario, verso una direzione opposta: lo stato esi- ste per la convergenza delle regioni, che lo sorreggono e lo legittimano.
  Ma si tratta di una rivoluzione copernicana che presuppone la negazione della storia di una nazione italiana vissuta prima senza essere
«stato» e poi come sta- to unitario dal 1861 al 1994. E’ possibile rovesciare, dimenticare o trascurare tutto ciò che in termini di cultura, storia, economia, passioni e sentimenti la nozione di patria o quella di nazione significano? Il problema dei federalisti è di convincere i loro interlocutori del fatto che il loro progetto non sia una tappa intermedia verso la balcanizzazione della penisola italiana e sia viceversa il per- corso ottimale verso un’organizzazione più profondamente democratica dello stato italiano. Se ciò possa essere ottenuto (come accade negli Stati Uniti d’A- merica) mediante l’elezione a suffragio diretto del presidente della federazione o possa essere il frutto di altri congegni istituzionali è un problema aperto. Tut- tavia proprio questo è il motivo politico principale attorno al quale il dibattito sul federalismo finirà per ruotare. Infatti questo avrà successo solo se potrà es- sere inteso come una forma superiore di patriottismo.
 

 

 


dicembre 1999