Etica ed estetica

di Sergio Givone

 

 

 

Si parla molto oggi di etica ed estetica, perlopiù accentuando il lo- ro contrasto (vero o supposto). Da una parte l’estetica, il regno del piacere, dell’edonismo e magari del narcisismo. Dall’altra l’etica, il regno della coscienza morale, della responsabilità  per gli altri, della obbedienza a una legge superiore.

Ma siamo sicuri che le cose stiano proprio così? Una posizione come quella descritta è difficilmente sostenibile sul piano filosofico. Infatti a ben vedere c’è un’etica dell’esperienza estetica e un’estetica dell’esperienza morale.

Un’etica dell’esperienza estetica. Tale esperienza esige dall’artista, così come dall’interprete o fruitore, una vera e propria devozione nei confronti dell’opera. In un certo senso una moralità di secondo grado. Questo accade quando l'arti- sta deve trasgredire e violare leggi etiche in nome della propria legge, la legge dell’opera in cui è impegnato. Al punto che l’artista può essere fedele a se stes- so e al suo lavoro solo trasgredendo le leggi del mondo in cui vive.Questo spie- ga perché in certe opere d’arte del tutto amorali o addirittura immorali risplen- da la luce di una più alta moralità.

Ma c’è anche un’estetica dell’esperienza morale. Un atto realmente morale ha  una sua indubbia bellezza. Esso è esemplare, ha valore di modello. E que- sta esemplarità non è nient’altro, per la sensibilità, che bellezza. Non importa che tale atto sia il frutto spontaneo di un’inclinazione naturale o risulti da una drammatica contrapposizione di piacere e dovere. In entrambi i casi esso sta nella luce della bellezza.

Questo significa che etica ed estetica possono e devono essere distinte, ma lo possono solo in rapporto l’una all’altra. Ora la questione è: quale delle due vie- ne prima, quale è per così dire più originaria?

Platone, a questo proposito, non aveva dubbi. L’etica viene prima. La bellez- za non è se non un riflesso del bene. E il bene è il fondamento di ogni forma di armonia.

Nel nostro tempo - il tempo della diffusione planetaria della tecnica -  non ne siamo più tanto sicuri. Già Max Weber osservava che tutte le nostre decisioni, anche quelle che stanno alla base d’ogni progetto scientifico, sono governate da qualcosa come un «demone», qualcosa a sua volta non soggetto a una totale razionalizzazione. Ora, che cos’è un demone se non un’ispirazione estetica, u- na declinazione della nostra vita che ha a che fare con la sensibilità più che con la ragione? Altri più recentemente ha proposto di spiegare le grandi rivoluzioni scientifiche partendo dai loro presupposti irrazionali e gratuiti, diciamo pure «artistici», e di conseguenza più d’uno ha avuto buon gioco a radicalizzare tutto ciò e a identificare arte e scienza. Per non parlare di chi afferma che nessuna conoscenza, nessuna fede, nessuna prospettiva sul mondo è possibile senza un mito di fondazione.

Dunque, non l’etica sembra essere alla radice dell’estetica, bensì l’estetica di quella dell’etica. Di ciò facciamo esperienza in ogni campo. Non è forse vero che per riconoscere l’interna moralità di un’azione sempre più spesso ricor- riamo alle nozioni di coerenza e di stile e sempre meno ai grandi princìpi? Ma questo è precisamente il tratto caratteristico del giudizio estetico: che aspira a valere universalmente, e tuttavia non può appellarsi che alla comunità di perso- ne che hanno una certa sensibilità, un certo gusto. Chissà, forse l’etica è desti- nata a ritornare etichetta -  proprio nel senso di piccola etica, etica come stile di vita. Ma davvero questa sarebbe una perdita? Davvero non sapremmo ve- dere qui un paradossale ritorno alle fonti dell’esperienza morale?

 

 

 

 

 

 

Nella prima pubblicazione (n.4 del 1992) questo articolo è stato attribuito erroneamente a Eugenio Garin invece che a Sergio Givone. Ce ne scusiamo con entrambi.