Alternativa al
liberalismo selvaggio
di Antonio Landolfi
Negli anni susseguenti alla caduta del muro di Berlino non si
sono
affatto verificate quelle iniziali profezie, secondo le quali la crisi del
comunismo avrebbe travolto anche il movimento socialista, sgom- brando in
tal modo la strada alla vittoria definitiva del capitalismo nella sua
versione neoliberalista. Non è avvenuto neppure nulla di quello che Fekujama ha teorizzato come la fine della storia, una volta caduto
l’impero so- vietico.
Il capitalismo (ma quale, del resto, obietta uno studioso come
Albert: quello ultraliberista o quello dell’economia sociale di mercato?)
ha mostrato anch’esso guai nel suo motore. Non ha ottenuto affatto i
successi universali che prean- nunciava, né ha potuto esibirsi in quella
marcia trionfale che si riprometteva. La crisi del «compromesso keynesiano»
ha danneggiato allo stesso tempo ca- pitalisti e mondo del lavoro: perché
ha prodotto una larga disoccupazione, e quindi anche minori consumi, ed
una recessione dalla quale non si vede una ra- pida via d’uscita. Inoltre,
si sono venute a creare le condizioni di un inasprirsi della
conflittualità sociale. La crisi dei servizi sociali e l’estendersi della
povertà in America del Nord ed in Europa non hanno di certo giovato al
buon nome ed all’immagine dello stesso capitalismo industriale, o
post-industriale.
Semmai chi ha tratto profitto dalla situazione è quel capitalismo
finanziario e speculativo, sostanzialmente improduttivo, che ormai sfugge
al controllo ed al- la regolazione delle istituzioni nazionali,
continentali ed internazionali, ed at- traverso un rapido spostamento dei
suoi capitali realizza guadagni giganteschi, speculando soprattutto sulle
monete che si presentano di volta in volta più de- boli. Ma anche questo
processo di divaricazione tra economia monetaria ed e- conomia naturale,
che sottrae risorse preziose agli investimenti produttivi, fi- nisce per
presentare un capitalismo di rapina, che rende sempre più ricchi i ric-
chi ed i parassiti, impoverendo ancor più le classi sociali più deboli,
finisce per contraddire platealmente l’ostentazione delle virtù generali
del sistema.
Dal canto suo il socialismo democratico, che si presenta sempre di
più come un insider nel sistema e non come alterità rispetto ad esso, si
è rilevato tutt’al- tro che debellato, o sulla definitiva via del
tramonto, come qualche studioso profetizzava.
Si può affermate, senza timore di smentite, che il socialismo che
non è stato comunista né è erede del comunismo, allarga i suoi ranghi.
L’Internazionale So- cialista vede ampliare il numero degli aderenti e
degli aspiranti all’ingresso nelle sue fila. Molti settori politici del
mondo comunista hanno compiuto una con- versione - sincera o meno, a
seconda dei casi - al socialismo democratico.
La parte maggioritaria del più grande partito comunista
dell’Occidente, quel- lo italiano, in poco tempo ha operato una rapida
trasformazione, cambiando simbolo e nome, rompendo con la parte minatoria
che ha voluto mantenere un legame visibile con la tradizione comunista. Il
Partito Democratico della Sini- stra, che è sorto da questa
trasformazione, ha compiuto una scelta socialista, ed è ormai un membro a
pieno titolo dell’Internazionale Socialista e del partito socialista
Europeo nato nel recente passato, quale organizzazione dei partiti
socialisti dei paesi della Comunità Europea.
Comunque, nella CEE lo schieramento socialista rappresenta
complessi- vamente la forza politica di gran lunga più consistente. E’
vero, naturalmente, che i partiti socialisti hanno subìto negli ultimi
anni una serie di rovesci e di sconfitte politiche ed elettorali, a
cominciare dalla Grecia per finire alla Fran- cia, dove il PSF è stato
nettamente battuto nelle elezioni politiche della pri- mavera del 1993.
Per non parlare del Partito Socialista Italiano, travolto in po- chi mesi
della «questione morale» avviata con l’indagine dei giudici di Tangen-
topoli.
I partiti socialisti europei, che nell’ultimo ventennio avevano
conquistato po- sizioni di governo in molti paesi, hanno cominciato una
marcia a ritroso, ab- bandonando, per volontà degli elettori, le loro
posizioni di forza.
Si è trattato di un fenomeno che ha analogie ben visibili, in tutte
le situazioni nelle quali si è verificato; anche nella stessa Spagna, dove
il partito socialista di Gonzales ha saputo, sia pur di poco, evitare la
sconfitta.
La serie degli insuccessi registrati ha ovunque due cause comuni.
La prima risiede nella «questione morale», da Papandreu a
Tangentopoli, da- gli scandali dei socialisti francesi a quelli belgi
spagnoli, la «questione morale» ha investito in modo spietato settori
molto vasti e significativi della classe diri- gente socialista dei
partiti nazionali. E della corruzione i socialisti hanno do- vunque dovuto
dar conto agli elettori, pagando un prezzo salatissimo in termini di
consenso.
Qualcuno obietta che la corruzione non è stata e non è un fenomeno
che in- veste solo i socialisti, bensì anche altre forze politiche.
Nel confronto, tuttavia, sono sempre i socialisti ad essere
penalizzati in misu- ra notevolmente maggiore. Due sono le ragioni. Una è
data dalla natura dell’e- lettorato socialista che essendo in genere più
popolare, formato cioè da cittadi- ni meno fortunati socialmente, male
tollerano l’immagine di un partito che li rappresenta guidato da uomini ai
quali possono attribuirsi episodi di corruzione e di malversazione.
L’altra ragione sta nel carattere proprio del socialismo che, quale
movimento che predica i valori della giustizia sociale, vale a dire come
movimento profondamente etico, appare più clamorosamente in contraddizio-
ne con sé medesimo quando è sorpreso con le mani nel sacco.
La seconda causa delle sconfitte
elettorali registrate dai partiti socialisti sta nella loro complessiva
incoerenza rispetto alla loro definizione di partiti rifor- misti.
Essi infatti hanno realizzato, nelle loro esperienze di governo, un
numero talmente esiguo di riforme, da non giustificare la loro
autoreferenza di partiti socialisti riformisti.
Infatti, se il socialismo si identifica con il riformismo - ed il
riformismo socia- lista è, tra gli altri un riformismo che deve essere più
spiccato e più specifi- catamente riformatore - l’essere socialisti
consiste nel compiere un’opera di ri- forma. Invece i partiti, governando,
hanno dimostrato sovente di saper fare del- le ottime politiche di
contenimento dell’inflazione, di riduzione, della spesa pubblica, di guida
dei processi di modernizzazione: tutte cose che avrebbero potuto benissimo
fare partiti che non avevano bisogno di essere socialisti o di definirsi
tali.
Abbiamo così avuto in Grecia, in Francia, in Italia, in Spagna ed
altrove, par- titi socialisti al governo che perdevano o indebolivano la
loro identità riformi- stica: partiti socialisti che sono stati riformisti
senza riforme, in perenne e pla- teale contraddizione con sé medesimi.
Insomma: i partiti socialisti che sono usciti sconfitti
dall’esperienza di go- verno, o che non sono riusciti a conquistare una
maggioranza per governare nei loro paesi, lo debbono al fatto non di
essere stati socialisti, di aver svolto una politica socialista, di aver
realizzato un programma socialista. Debbono tutto all’apposto, al fatto di
non essere stati, in concreto, socialisti, o di esserlo stati troppo poco.
Perché in quanto movimento etico non hanno saputo restar im- muni dalla
corruzione, tantomeno combatterla. Non hanno resistito, per molte e
svariate ragioni alle lusinghe del potere e del danaro, tradendo se stessi
ed i loro elettori.
Come socialisti riformisti, hanno abbandonato e gettato alle
ortiche il rifor- mismo, presentandosi agli occhi dei lavoratori nelle
vesti di quelle strane figu re, un po’ patetiche; alla fin fine, di
«riformisti senza riforme», patetici come quei gelatai che non avendo
gelati da vendere, fanno insieme un po’ pena e un po’ rabbia, perché
sembrano incapaci di fare il loro mestiere.
Riformisti senza riforme, che per di più accusati non senza regione
di non re- sistere alla tentazione del Dio Mammone e del potere per il
potere, non pote- vano logicamente essere sconfitti - come infatti è
avvenuto - e non potevano che perdere la fiducia di una larga parte dei
lavoratori che rappresentavano.
Gli insuccessi possono essere però salutari. I socialisti stanno
imparando, a loro stesse spese, che, la via della ripresa politica dei
socialisti consiste soprat- tutto nel ritornare ad essere e a fare i
socialisti. Significa, cioè, ritornare ad es- sere persone per bene,
impermeabili alla corruzione, votate alla causa del mon- do del lavoro,
coerenti con il sistema dei valori che si propugnano. Significa proporsi
riforme finalizzate all’obiettivo di una maggiore e riconoscibile giusti-
zia sociale, modificando profondamente gli equilibri di ricchezza e
povertà ac- corciando la scala dei poteri sociali. Il mestiere di
socialista è questo, non altro. Del resto non si è socialisti per
coscrizione obbligatoria: si è socialisti per scelta di vita, a cui
nessuno e nulla costringe.
La ripresa socialista è potenzialmente in atto, perché i rovesci
registrati tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta
hanno stimolato nei partiti socialisti un profondo moto di rinnovamento
teorico e politico insieme.
L’ «ipoteca socialista» iscritta nella realtà strutturale delle
società industriali e postindustriali non è dissolvibile né cancellabile
da nessuna politica neolibera- lista; e perché lo Stato Sociale, sia pure
modificato, corretto, reso qualitativa- mente migliore anche dalla spinta
di innovazione tecnologica, è una realtà per- manente ed indissolvibile.
E’ una ripresa potenzialmente in atto, infine, perché le difficoltà
del capita- lismo ricreano le condizioni reali per l’insorgere di una
contrapposizione sociale che il socialismo riformista e gradualista è
chiamato a gestire, quale rappresen- tante di quel mondo del lavoro che
finché perdura il pluralismo e la comples- sità sociale è ineliminabile
anche nelle strutture e nelle sue radici sociali.
Il socialismo dunque non solo esiste e sopravvive, ma è destinato a
svolgere un ruolo protagonistico nel corso dei prossimi anni, a cavallo
tra la fine del XX secolo ed il secolo che seguirà.
Molti commentatori e critici politici vanno chiedendo ad ogni piè
sospinto le prove dell’esistenza del socialismo, quasi invocando un nuovo
Sant’Anselmo d’Aosta in grado di offrire la prova ontologica di tale
esistenza.
Se invece che a un Sant’Anselmo d’Aosta si vuol ricorrere al più
laico e più moderno Popper, prendendo a prestito da questi la sua
prova della «falsificabi- lità», allora si sarà in grado di verificare
come in questo «secolo del socialismo» che va a chiudersi nessun’altra
idea abbia subìto e subisca tante falsificazioni.
Il socialismo ha subìto la falsificazione del fascismo e del
nazismo, che Gui- do Dorso giudicava appunto «sottospecie del socialismo»;
ha subìto la falsifi- cazione del comunismo che si è proclamato per
decenni e decenni come «socia- lismo reale», senza aver nessuna
connotazione della democrazia socialista; ha subìto infine la
falsificazione del riformismo senza riforme del socialismo cor- rotto.
Il socialismo si sta liberando di tutte questa falsificazioni. E
liberandosene sta ritrovando nuova linfa, nuove energie, nuova vitalità.
Per realizzare tali obiettivi, marcando la sua caratteristica di
forza politica del cambiamento, cioè inequivocabilmente di sinistra, il
movimento socialista non può divenire una forza di centro, cioè moderata,
come suggeriscono alcuni po- litologi ed alcuni, se non molti falsi amici
dei socialisti. Costoro fanno un ragio- namento del tutto capzioso, quando
sostengono che i partiti socialisti debbono trasformisticamente tramutarsi
in partiti di centro per poter attrarre l’elettorato moderato e puntare
così alla conquista della maggioranza dei consensi.
E’ invece vero il contrario. I partiti socialisti - che hanno
fallito laddove han- no smesso di essere tali - non debbono farsi attrarre
dal centro, ma essere in grado essi di attrarre le forze sociali e
culturali provenienti dall’ area moderata del centro, che debbono essere
convinte dai socialisti alla causa del cambia- mento e della
trasformazione sociale e politica della società. Questo obiettivo i
socialisti possono realizzarlo presentandosi come un movimento aperto,
pronto ad accogliere le istanze di ogni settore progressista della
società, allargando lo spazio socialista alla presenza di componenti
laiche, cristiane, liberali e moder- ne, garantendo ad ognuna di esse la
possibilità di appartenenza a pieno diritto al movimento socialista con la
propria storia e le proprie connotazioni.
Il socialismo, insomma, non deve cancellare la propria natura e la
propria tradizione, ma arricchirla con tutti gli apporti che possono ad
essi derivare dal-l’incessante trasformazione della società moderna, come
effetto della «rivolu- zione silenziosa» che in essa si va compiendo.
Quando si attribuisce al socialismo moderno l’etichetta del
socialismo libera- le, questo appunto si deve intendere: l’accoglimento
nella vita del socialismo delle istanze e delle forze reali del
liberalismo progressista, che si sono separa- te, anche traumaticamente,
dal liberalismo conservatore ed iniziato un cammi- no che è approdato
nella fila del socialismo.
Questo fenomeno è iniziato a metà degli anni venti, al momento di
cui Lord Keynes pubblicò il suo Fine del laisse-faire, teorizzato
da Carlo Rosselli alla vigi- lia degli anni trenta con il suo «socialismo
liberale», concretizzato con il contri- buto di Lord Beveridge
all’edificazione del Welfare State, e tuttora prosegue con nuove
generazioni di intellettuali, di scienziati, di imprenditori che hanno
preso le distanze e, continueranno a prenderle, nei confronti dei miti del
liberalismo selvaggio e degli egoismi sociali che ne derivano.
Un movimento socialista non statalista, che ha assimilato in pieno
la cultura dello Stato di Diritto - cioè della migliore tradizione
culturale del liberalismo storico - è in grado di arricchirsi di nuove
provenienze e di attrarre settori della società che erano stati in passato
diffidenti verso di esso, e refrattari ad impe- gnarsi in un’azione di
cambiamento sociale e politico guidato dai socialisti.
Su questa strada, il socialismo ha tutta la possibilità di
rinnovare i successi del passato, e di realizzare i propri valori con il
consenso dei cittadini.
dicembre 1995
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