Partecipazione
di Antonio Landolfi
In Europa, dalla fine della seconda
Guerra Mondiale, il pensiero so- cialista si è misurato con i problemi
della partecipazione. La cultura della partecipazione si ritrova
concretamente, nelle attuazioni della Mi- tbestmmung, in
Germania, che è il risultato derivante dalla tradizione del movi- mento
socialista, e delle sue origini fourieriane, proudhoniane, sansimoniane,
ma anche anarco-sindacaliste e rivoluzionarie, distinti ed ostili, come
del resto la stessa dottrina sociale della Chiesa al capitalismo di Stato
rappresentato dal- l'esperienza del comunismo di matrice stalinista prima
della sua fine. Questo filone ha dato vita ad esperienze
partecipative di fondamentale rilie- vo, a partire dalla nascita e dallo
sviluppo di tutto il movimento cooperativo di tutti i paesi europei,
nell'agricoltura, nel settore dei servizi e della distribuzione, ed in
quelli della produzione industriale e dell'edilizia. Soprattutto le
cooperati- ve di produzione e di consumo oltre a rappresentare un momento
associativo rappresentano anche il modello partecipativo e gestionario
nelle sue forme più ampie. Inoltre il movimento socialista europeo ha dato
vita ad interessanti e- sperienze di partecipazione e di gestione dei
lavoratori dove ha avuto responsa- bilità di governo, come in Scandinavia
ed in Gran Bretagna, ed ha, come abbia- mo detto, sostenuto il movimento
della cogestione in Germania. La partecipa- zione è vista come il logico
coronamento e compimento dello Stato Sociale, che ha realizzato nella
seconda metà del secolo ventesimo i princìpi fondamen- tali del
solidarismo. Tutto ciò secondo la profezia del revisionista socialdemo-
cratico Bernstein: «Il socialismo è la realizzazione di un ordine sociale
coopera- tivo»: Il filone del socialismo ha vissuto intensamente, specie
negli anni succes- sivi al '68, un'intensa passione autogestionaria.
«Attraverso l'autogestione – os- serva lucidamente Luciano Pellicani –
l'economia cesserebbe di essere regolata dal principio plutocratico o dal
principio burocratico e potrebbe realizzarsi la saldatura tra democrazia
politica e democrazia economica». Le idee autogestio- narie, diffuse
particolarmente in Francia ed in Italia, ebbero il difetto di un'am-
biguità di fondo: non si chiarì all'epoca, almeno in modo unanime, in
quale mo- do l'autogestione si collocasse nell'economia di mercato, e come
essa potesse applicarsi al livello macroeconomico (credito, moneta,
commercio internazio- nale, programmazione) oltre che a quello
macroeconomico delle imprese.
Pesò sul dibattito relativo
all'autogestione anche il mancato chiarimento ri- spetto al modello
jugoslavo. Modello che già allora era in notevole difficoltà, e che un
decennio dopo doveva entrare definitivamente in crisi. Un modello che,
inserito come era nel quadro complessivo di un sistema economico ed
istituzio- nale comunista, cioè statalizzato, non poteva corrispondere né
alla logica di mercato né offrire gli aspetti completi di una democrazia
economica impossi- bile a fondarsi senza una correlative democrazia
politica. Pertanto nei paesi europei il movimento
autogestionario, che si contrappone- va ad una concezione statalista,
burocratica e centralizzata del sistema econo- mico tipico del mondo
comunista, non poteva fiorire e sopravvivere in questa ambiguità. Per cui,
pur avendo avuto momenti di alta intensità ed pur avendo dato luogo ad
interessanti sperimentazioni presto decadde e, praticamente, si estinse
agli inizi del decennio successivo. Questo scenario ha finito per influire
sullo stesso destino dell'epoca mitterandiana, in Francia. Difatti il
«programma comune» della sinistra francese prevedeva l'attuazione di un
sistema autoge- stionario sia nelle imprese private sia in quelle
nazionalizzate. Dopo la vittoria del 1981 che portò Mitterrand alla
presidenza della Repubblica, il programma restò inattuato e non venne più
ripreso per le successive consultazioni elettora- li. La coesistenza delle
tre correnti, cattolica, socialista e della destra sociale, nella cultura
della partecipazione, ha permesso all'Europa stessa di compiere un passo
avanti sulla strada della solidarietà partecipativa ed associativa. I sin-
goli paesi europei, anche grazie alla loro associazione, hanno compiuto
esperi- menti in questa direzione con significativi progressi. Tutta la
storia comunitaria dell'Europa è stata contrassegnata da questa esigenza
partecipativa che ha im- pegnato, dapprima la Comunità Europea,
successivamente l'Unione Europea sorta sulla scia del trattato di
Maastricht. Tali progressi sono stati ripetutamen- te rilevati e
sottolineati da Marco Biagi, il giurista del lavoro assassinato dalle
nuove Brigate Rosse, che è stato un convinto ed appassionato assertore
della partecipazione ed ha sempre professato sentimenti socialisti
riformisti. Nel suo ultimo scritto, apparso nel numero di febbraio del
2002 della rivista Impresa al plurale-quaderni
della partecipazione, Marco Biagi ha scritto: «La rapida evoluzione
legislativa registrata nel corso dell'ultimo decennio spinge ad
un'evoluzione degli assetti delle relazioni industriali in Europa verso
una logica sempre più partecipativa».In questo suo saggio, Marco Biagi, ha
analizzato dettagliatamen- te il percorso compiuto dagli istituti
partecipativi sia per l’impulso dell'Unione Europea (che, come egli
dimostra, non è soltanto una semplice unione mone- taria) sia nelle
esperienze dei singoli paesi europei. Già nel suo lavoro per la re-
dazione del Libro Bianco del Governo italiano per i problemi del
Welfare, ne a- veva anticipato gli indirizzi essenziali. Secondo Biagi
infatti l'esperienza com- parata insegna che i sistemi di relazioni
industriali più partecipativi riescono a conferire maggiore competitività
al sistema produttivo, pure nella grande varie- tà dei modelli adottati,
sia che la legge assuma un ruolo centrale (Germania), sia che la
partecipazione si fondi sulla prassi e sulla consuetudine, senza alcuna
interferenza di carattere regolatorio (Giappone). Si ottengono risultati
incorag- gianti sul piano dell'efficienza organizzativa, riducendo le
resistenze alle inno- vazioni tecnologiche, supportando le decisioni
manageriali con una maggiore legittimazione e coinvolgendo i
rappresentanti dei lavoratori in una logica di confronto che non esclude
certo la possibilità di ricorrere al conflitto ma privi- legia la ricerca
di soluzioni condivise in quanto hanno più facilità di essere im-
plementate con successo. La partecipazione è dunque un elemento
costitutivo di un sistema di relazioni industriali basato sulla qualità,
contribuendo positiva- mente a sostenere e qualificare lo sviluppo di un
sistema economico nel suo in- sieme e delle singole imprese. Dopo il
successo della direttiva comunitaria sui Comitati Aziendali Europei (CAE),
con l'affermazione di un ruolo importante della contrattazione collettiva
in funzione partecipativa, incentivata al punto di poter derogare
interamente rispetto a disposizioni minime di legge, sta per con- cludersi
il pluridecennale processo decisionale che porterà entro breve tempo alla
normativa comunitaria sulla costituzione della Società Europea (SE). Do-
po l'accordo di Nizza il Consiglio ha approvato un testo che è attualmente
in lettura al Parlamento Europeo. Appare pertanto opportuno, alla vigilia
dell'ap- provazione definitiva di questo provvedimento così a lungo
atteso, che il go- verno sottolinei l’importanza di una riflessione sui
temi della partecipazione, in vista di un'impegnativa fase di
trasposizione che dovrà avvenire nell'arco di questa legislatura. La
disciplina giuridica della Società Europea, sia nel regola- mento sia
nella direttiva, si fonda sul riconoscimento del carattere fisiologico
della partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Non sono
mancate in passato direttive comunitarie che abbiano affermato diritti di
informazione e consultazione in presenza di situazioni di crisi aziendali
(licenziamenti colletti- vi, trasferimento di azienda) dando luogo ad atti
di recepimento che, anche nel- l'ordinamento giuridico italiano, hanno
fondato diritti di informazione e consul- tazione. Tuttavia è con la
direttiva CAE, peraltro limitata alle relazioni indu- striali che
caratterizzano le imprese di dimensioni transnazionali, che si è affer-
mata una tendenza regolatoria a promuovere la partecipazione anche in
cicli e- conomici favorevoli nella vita delle imprese, quindi non soltanto
su base ecce- zionale ma anche in una prospettiva permanente. La direttiva
sulla SE prose- gue in questa direzione, anche se la parte riguardante la
partecipazione potrà (in omaggio al compromesso politico che ha consentito
a Nizza di superare le ultime resistenze della Spagna) essere oggetto di
opting out da parte dei singoli stati membri, ai quali sarà quindi
consentito non procedere alla trasposizione di questa parte delle
disposizioni comunitarie. In Gran Bretagna come è noto (o almeno dovrebbe
esserlo) la politica sociale del governo si ispira alla filosofia del New
Labour, che pone tra i suoi obiettivi principali quello della diffusione
della proprietà mobiliare tra i lavoratori dipendenti, attraverso i
meccanismi della vendita o della distribuzione delle azioni delle società
industriali, o come quello dello stock option. Questa ulteriore
forma di «capitalismo diffuso» si rivol- ge innanzitutto ad incentivare la
partecipazione azionaria nella proprietà dell'a- zienda in cui si lavora,
in modo da creare in esse una situazione comproprieta- ria dei dipendenti
che annulli o comunque contenga il dominio dei «noccioli duri», creando la
base concreta di una partecipazione dei rappresentanti della forza lavoro
nella direzione gestionale dell'impresa. Questa linea è ispirata al
principio «Tutti azionisti della propria azienda», contenuto nel Manifesto
del New Labour . L'applicazione di questo principio ha permesso
di offrire uno sbocco sociale anche ai processi di privatizzazione,
creando quelle public companies che socia- lizzano il capitalismo
aziendale, invece di offrirlo alla voracità di spregiudicati finanzieri
privati (come è accaduto in Italia). Il caso più evidente, in
Inghilterra, è stato quello della privatizzazione del Ser- vizio Postale
Nazionale. Quando si è deciso di privatizzarlo è stato dato in of- ferta
il cinquanta per cento delle sue azioni ai dipendenti, riservando l'altra
me- tà ai risparmiatori. L'offerta è stata accettata dai lavoratori ed in
tal modo nes- sun gruppo finanziario è stato in grado di impadronirsi
della proprietà di un'a- zienda che pure faceva assai gola a
molti. Nel pensiero socialista con la partecipazione l'uomo con
il suo lavoro, che tanti profeti davano per sommerso e travolto
dall'avvento di un macchinismo da lui stesso evocato e provocato (come
l’apprenti sorcier del racconto magico) emerge invece in tutte le
sue potenzialità ed in tutte le sue qualità. Riappro- priandosi del suo
lavoro, nella pienezza dei suoi diritti. Se la produzione, come
la tecnica, sono il risultato del lavoro, esse devono tornare di proprietà
dell'uomo che ne è l'autore attraverso l'impiego della sue capacità e
delle sue facoltà fisiche e creative. Una partecipazione gestionaria e
proprietaria è, in conclusione, la forma sociale e giuridica adeguata alla
nuova realtà della produzione alla fine dell'era industriale ed all'inizio
dell'era postin- dustriale. Alla conclusione cioè dell'era capitalistica
ed all'avvio dell'era postca- pitalistica. La partecipazione
gestionaria e proprietaria è un traguardo al quale sospinge anche, e
soprattutto, un nuovo indirizzo, una nuova tensione etica, che solleci- ta
gli uomini di oggi e di domani a frenare e capovolgere la tendenza ad una
materializzazione totalizzante della loro vita, senza negare le positività
e le convenienze che essa comporta e per le quali i beni materiali, come
quelli im- materiali, sono messi in atto dalla creatività
umana.
settembre
2002
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