V Conferenza Internazionale sulla Conservazione e il Restauro.

Università degli Studi di Firenze, 30 novembre-2 dicembre 1999

 

 Archeologia, conservazione e restauro: quale futuro?

di Luigi Marino

 

La V Conferenza Internazionale sulla Conservazione e il Restauro, con le sue giornate nell’Università di Firenze, è stata una preziosa occasione per rifles- sioni sul restauro. La sessione del giorno 1 dicembre e la mostra di quello suc- cessivo sono state dedicate in particolare al restauro archeologico inteso come conservazione e valorizzazione di manufatti edili ridotti allo stato di rudere. Alla luce dei problemi che in questi anni sono emersi riteniamo si possa affermare che il Restauro Archeologico sia un settore che, sebbene abbia una lunga storia, deve ancora avere una sua collocazione disciplinare. Molti equivoci e malintesi van- no ancora sciolti. Uno dei principali consiste nella pretesa, che non sia possibi- le intervenire con efficacia perché non è possibile prevedere cosa «verrà fuori» da uno scavo. In realtà, se le variabili derivate dallo scavo archeologico posso- no essere quasi infinite ed imprevedibili, quelle relative alle patologie delle strutture e dei materiali da costruzione si riducono spesso a casistiche limitate o, in ogni modo, riconducibili in ambiti conosciuti o sufficientemente control- labili. Nella pratica corrente gli interventi conservativi sui ruderi emersi da uno scavo sono rinviati a tempi successivi quando nuove esigenze di rappresentan- za o di investimento turistico (spesso, una delle cause del peggioramento di si- tuazioni già difficili) causeranno interventi affrettati e superficiali. Interventi puntuali e dei costi sostenibili avrebbero potuto risolvere la maggior parte dei problemi ed avviare una pratica di manutenzione se fossero stati eseguiti con sollecitudine. Esaurienti e corrette indagini diagnostiche preventive avrebbero meglio definito i caratteri dei lavori e, in non pochi casi, avrebbero addirittura potuto «limitare gli interventi di restauro».

Il restauro archeologico, contrariamente a quello che è definito restauro archi- tettonico non ha ancora avuto una sua definizione disciplinare a fronte, però, di un altissimo numero di interventi. Nella pratica corrente sembra che questi si riducano, essenzialmente, alla protezione delle creste e alle integrazioni delle lacune. In realtà, gli interventi coprono orizzonti molto ampi e più complessi.

I possibili ruoli dell’architetto si stanno mettendo in evidenza con sempre maggiore chiarezza (anche se le difficoltà sono molte a causa di chi teme di perdere presunte posizioni di privilegio) con l’adozione di criteri realmente in- terdisciplinari, quando i singoli specialisti possono interagire con efficacia e ri- spetto delle singole competenze.

I settori di possibile intervento comprendono: campagne di rilievi diagnostici in estensione o per campione, indagini stratigrafiche delle murature, indagini sui materiali da costruzione e sulle soluzioni tecnologiche edili tradizionali (applicate su vasta scala oppure inusuali), storia delle tecniche costruttive locali, conservazione dei manufatti in corso di sca- vo, pulizia, controllo delle azioni ambientali degeneratrici (acqua e vegetazione infestante innanzitutto) e dell'azione antropica (vandalismo, cattivo uso o pressione turistica incon- trollata), coperture provvisorie (periodiche o stagionali) o definitive, integrazioni simboliche o reali, sostituzioni di parti, spostamenti, utilizzo di copie, repliche didattiche in scala ri- dotta, utilizzo del verde per il completamento di parti mancanti, abbandono controllato, impianto e gestione di centraline di rilevamento automatico di dati relativi al progressivo  deterioramento, verifica della efficacia di soluzioni restaurative eseguite con materiali e so- luzioni tradizionali, sperimentazione di materiali e procedure innovative, consolidamenti strutturali provvisori o definitivi, consolidamento e protezione di materiali, conservazione o revisione dei restauri precedenti, formazione e gestione di atlanti di riferimento per interven- ti futuri, musealizzazione in situ (in ambito urbano o extraurbano) o in altro luogo, orga- nizzazione e gestione di aree archeologiche integrate con parchi naturalistici ed ambientali, gestione di parchi assistiti con l’impegno a ridurre le barriere architettoniche, didattica e for- mazione di operatori specialistici, adeguamento alle norme di sicurezza, divulgazione e  pubblicizzazione dei risultati delle indagini e degli interventi.

In particolare, dovranno essere sperimentate soluzioni di intervento che si ba- sano su operazioni conservative caratterizzate da interventi minimamente inva- sivi e al massimo reversibili capaci di frenare (o almeno rallentare) i processi di degradazione dei materiali e dissesto delle strutture. Si tratta, allora, di predi- sporre una accorta opera di prevenzione (ancor prima dello scavo che dovrebbe tenere maggiormente in conto le necessità conservative immediate e i futuri obblighi conservativi) e avviare una successiva opera di manutenzione ordinaria costante e ripetuta nel tempo.

Un settore sempre più ricorrente, e che è destinato a caratterizzare in futuro un gran numero di interventi (soprattutto in ambito urbano) è costituito dal re- stauro di emergenza quando le scelte sono ancor più delicate perché, nella mag- gior parte dei casi, agli eventuali errori non sarà possibile porre rimedio.

 

 

 

dicembre 1999