Il respiro dell'universo

di Enzo Mazzi

 

 

Giordano Bruno in una stampa ottocentesca

 


   Il rogo di Campo dei fiori a Roma, che il 17 febbraio 1600 uccise Giordano Bruno, incenerì anche una parte fondamentale e caratteristica del Rinascimento fiorentino. Firenze, la città creativa, anima della rinascenza, fonte genuina del- l’umanesimo fu bruciata per la seconda volta dopo che il rogo di piazza Signo- ria aveva già incenerito la straordinaria esperienza della repubblica popolare sa- vonaroliana.
   Era stata infatti proprio la cultura fiorentina del Rinascimento, dal Ficino al Pico, un essenziale elemento di ispirazione delle ardite intuizioni del filosofo dell’infinito animato, del mago naturalista. Anzi è possibile pensare che il rogo di Bruno sia stato proprio il tentativo di chiudere la parentesi dell’umanesimo naturalista rinascimentale, sia da parte del potere ecclesiastico sia per motivi opposti del nascente potere della scienza. Da una parte Dio doveva mantenere intatto il proprio dominio assoluto su tutta la creazione, a qualunque costo. Ce- derne all’uomo anche solo una briciola voleva dire sgretolare l’ordine cosmico. Ed era vero. Di contro, infatti la mente umana si apprestava alla grande rivolu- zione che avrebbe davvero detronizzato Dio.
«Penso dunque sono» di Cartesio già faceva intravedere la conclusione «Penso dunque sono io il tutto». In mez- zo, l’amplesso uomo-natura rimase schiacciato. Furono sacrificati gli aspetti non mentali dell’uomo: sapienza, emozioni, sentimenti, capacità di contatto di- retto con la natura, magia naturalis, fu ulteriormente denigrata la femminilità da sempre considerata impastata in modo inquietante di natura materiale, fu demonizzata la strega come donna che non si piegava né al dominio di Dio né al dominio della mente matematica. L’unità amorosa Dio-uomo-natura fu ince- nerita dai roghi, dal rogo di Bruno e di altri eretici, dai roghi delle streghe.
   Nel 1460 uno dei monaci che Cosimo dei Medici sguinzagliava per il mondo alla ricerca di antichi manoscritti, portò a Firenze un manoscritto greco che conteneva un leggendario Corpus Hermeticum, erroneamente attribuito a un anti- chissimo sapiente egiziano Ermete Trismegisto. Cosimo ne commissionò subi- to la traduzione a Marsilio Ficino ordinandogli di fare in fretta perché voleva leggerlo prima della morte che sentiva ormai vicina. Il contenuto, già per ac- cenni conosciuto da altre fonti, si rilevò ricchissimo di spunti esistenziali, fi- losofici, spirituali, morali. Tutta la riflessione umanistica ne fu influenzata. Le enormi contraddizioni e oscurità del testo ermetico furono superate di slancio. Il Rinascimento aveva bisogno di un’anima e qui la trovò.

 «Ora il Nous, Padre di tutte le cose, vita e luce, ha generato un uomo simile a sé, che amava come proprio figlio. Perché l’Uomo (che era maschio e femmi- na insieme perché la dualità non si era ancora manifestata -ndr) era bello... E l’Uomo, vista nella natura una forma simile alla sua - riflessa nell’acqua - l’amò, e volle vivere con essa ... e assunse la forma irrazionale. Allora la Natura, aven- do accolto in sé il suo amato, lo abbracciò e furono uniti, perché bruciavano d’amore». E’ da spunti simili provenienti dai testi ermetici che Ficino, Pico e poi in seguito Bruno e Campanella in forma più compiuta ricevono quella spin- ta che li porterà a oltrepassare la cultura medioevale.
   E’ qui che Bruno alimenta in modo non secondario la sua idea dominante: contribuire positivamente alla impetuosa e tumultuosa trasformazione del suo tempo portandovi l’abbraccio della fusione degli opposti. Nella trasformazione egli vede la perennità e al tempo stesso nella perennità vede la trasformazione, nei cambiamenti la memoria e nella memoria il cambiamento, nell’eterno il tempo e nel tempo l’eterno, nel finito l’infinito e nell’infinito il finito, nel cen- tro la periferia e in ogni periferia il centro. E questo sdoppiamento della realtà cosmica, questa specie di respiro dell’universo, è per lui in una costante mai compiuta tensione verso l’oltrepassamento della opposizione.
   La dualità che tende alla fusione è per Bruno l’essenza stessa dell’universo. Si tratta di un vero e proprio rovesciamento della logica aristotelica secondo la quale la verità è una e unica e fuori dalla verità c’è solo l’errore. Il filosofo di Nola ha capito che lì, in quel semplicissimo principio di identità e di non con- traddizione che da Aristotele era passato alla Scolastica, si annidava il veleno che impediva agli opposti di realizzare nella storia la fusione creativa. Da quel principio venivano l’intolleranza religiosa, le guerre di religione, la opposizione insanabile della teologia contro la filosofia, il contrasto fra fede e scienza. Da quello stesso principio derivavano la separatezza fra uomo-dio-natura, la oppo- sizione inconciliabile fra vita e morte e fra corpo e anima, la tendenza a conce- pire l’infinito come un oggetto, cioè come dio separato dalla natura finita, e la impossibilità di vederlo invece come indefinito, infinitamente aperto,
«infinito di infinito», magicamente ricco di sempre nuove sorprese. Era dal principio di identità che grondava tanto sangue perché ogni fede pretendeva di essere l’uni- ca vera. E quella tendenza ad assolutizzare la verità, a renderla esclusiva, chiu- sa in una logica dogmatica senz’anima e senza speranza, soffocante e mortifera, incapace di puntare alla fusione degli opposti era un pericolo in cui rischiava di incorrere anche la nuova visione del mondo che stava nascendo e a cui lui ade- riva. Se il dogmatismo delle teologie fosse stato sostituito dal dogmatismo della scienza, non ci sarebbe stato più posto né per l’uomo né per Dio né per la natu- ra.
   Lo stesso vale per la verità delle religioni, per cui non c’è una religione vera in assoluto ma ognuna richiama l’altra, ognuna è in qualche modo vera perché tende al superamento di se stessa. Si potrebbe continuare con le esemplifica- zioni mostrando come la riflessione bruniana si sviluppi e maturi progressiva- mente in una caparbia sostanziale fedeltà alla intuizione di fondo. Se non si tie- ne costantemente presente ciò, si rischia di fraintenderlo inciampando di conti- nuo nelle complesse asprezze del discorso e dei vari codici letterari che egli u- sa.
    «Colui che vede in se stesso tutte le cose è al tempo stesso tutte le cose»: in questo bisogno di fusione cosmica, espresso nell’ultima delle sue opere, il De imaginum compositione, del 1591, scritta poco prima di essere arrestato, egli sinte- tizza mi sembra il senso profondo della sua vita. Su questo filo teso al altezze tanto vertiginose Bruno compie il suo itinerario intellettuale ed esistenziale. Il suo personale oltrepassamento verso «l’alterità» resta incompiuto e immediata- mente servirà solo a ingrossare il fiume del sangue versato sull’altare del princi- pio di identità assoluta ed esclusiva.
   Uccidendo Bruno, perseguitando fino alla pazzia Campanella, processando Galileo e massacrando le streghe, l’Inquisizione si è alleata oggettivamente con un settore solo dell’umanesimo, quello più radicalmente razionalista e antropo- centrico. E va detto che non solo l’Inquisizione cattolica ha acceso i roghi nel  cinque-seicento. La Riforma protestante e il potere nascente della scienza pro- teso a diventare il nuovo centro del dominio hanno partecipato in forme diver- se all’incendio.
   Dopo quattrocento anni, perplessi se non angosciati di fronte al dominio spesso violento di una tecnologia senz’anima fondata drasticamente sul princi- pio di identità e non-contraddizione, di fronte a chiese e religioni che predicano l’amore e denunciano l’ingiustizia ma in modo moralistico, senza mettere in causa la propria identità e la verità esclusiva e assoluta del proprio dio e dei propri dogmi, noi siamo ancora qui a interrogarci e ad arrovellarci alla ricerca di percorsi praticabili per fermare il fiume del sangue. Forse può servirci attingere alle ceneri di Bruno rivitalizzate e attualizzate.




febbraio 2000