Il libro è una inconsueta rivisitazione critica del
paradigma dell’Esodo nel cli- ma di transizione esistenziale e
storica che stiamo vivendo. Paradigma come memoria
storica in cui il flusso degli eventi è visto e traman- dato in
maniera «tipica». Il paradigma si ritrova nel significato di
un’orma pro- fonda che tramanda e genera senso e spiritualità da
molteplici memorie. Esodo, oltre la comune
accezione che esprime la partenza o l’emigrazione di u- na comunità,
può essere inteso anche in altri sensi, come nella sfera dell’inte-
riorità. Se la parola esodo implica nell’immediato un significato
liberatorio da un’oppressione, bellica, patologica, tragica o
abitualmente noiosa, Mazzi guar- da a quel processo di aspettative
che si innesca tra dubbi e speranze, da vari punti di vista,
spirituali, socio-antropologici e storico-politici.
L’autore ritiene che sia un impoverimento della vita e una
decurtazione dell’e- sistenza umana lasciare la gestione dei
paradigmi di senso e degli stessi testi sa- cri alle sole religioni
istituite, che hanno una importante funzione di servizio e sostegno
ma non di esclusività per la ricerca umana di senso. L’accettazione
re- missiva del monopolio religioso sulla Bibbia, ad esempio,
genera una grave ca- renza culturale. Si può avvicinare la
Bibbia privilegiando l’esegesi storica senza i vincoli della
gerarchie ecclesiastiche e del dogmatismo confessionale e senza
dover chiedere il permesso a nessun potere stabilito ma per il
semplice fatto di essere individui in ricerca. In una
prima parte storico-esegetica, rigorosa ma alla portata di tutti, il
para- digma viene storicizzato per liberarlo dalla «mummificazione
atemporale sacra- le» alla ricerca di maggiore obiettività e con
distacco laico, attenuando i vincoli ideologici, moralistici e
confessionali. Nei successivi capitoli il libro sviluppa u- na
ricerca di attualizzazione su quattro componenti essenziali del
paradigma dell’esodo: la liberazione nell’attuale disincanto e
oblio, Mosè e il tema del ca- po, il deserto e il tema della
costruzione della identità comunitaria, l’evento del Sinai e il tema
del mistero e del sacro in un orizzonte di laicità oltre i
confessio- nalismi religiosi. Mazzi considera la sua una
riflessione autonoma ad alta voce nella fedeltà alla esperienza, che
ormai da molti anni sta vivendo, « della strada e della piazza, oltre i confini, i
ruoli stabiliti, le mura di cinta, le appartenenze, attraverso una
costante socializzazione comunitaria e perciò non specialistica,
problematica e plurale».
Il libro testimonia anche questa
storica esperienza alternativa.
luglio 2001
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da E. Mazzi, La
forza dell'esodo, Ed. Manifestolibri, Roma,
2001
Premessa: chi ha
potere sulla memoria e sulla sua forza
generativa?
Viviamo un’epoca
di transizione forse senza precedenti per la complessità e so-
prattutto per la velocità delle trasformazioni. Ci angoscia il
cambiamento ma più an- cora il non riuscire a trovare un bandolo. E’
un parto, sentiamo la spinta prepotente a uscire verso orizzonti
nuovi, ma dov’è la luce? O forse è troppo accecante la luce che
tutto invade e tutto uniforma e ferisce il nostro sguardo di neonati
facendoci ciechi, impedendoci di distinguere i «segni
dei tempi», i lucignoli fumiganti, le tracce
incerte capaci di dare senso ai nuovi cammini? E’ in
questo clima di transizione esistenziale e storica che mi sono
trovato a rivisi- tare il paradigma dell’Esodo. Paradigma come
memoria storica in cui il flusso degli eventi è visto e tramandato
in maniera tipica. Paradigma nel significato di orma pro- fonda
dotata di senso, rintracciabile in tante altre memorie e possibile
forza genera- trice di senso e di spiritualità per noi
oggi. La parola esodo è ormai di uso comune. Richiama
l’uscire in massa ma può con- tenere anche altri sensi, legati ad
esempio alla interiorità. Quando si dice esodo si intende non di
rado una uscita liberatoria da qualcosa che opprime, come ad esem-
pio l’esodo dei profughi dalla guerra o degli emigranti dagli
inferni del mondo o più prosaicamente l’esodo festivo dalla
quotidianità soffocante delle città. S’intende an- che un percorso
nuovo che si apre, un viaggio pieno di attese e di incognite, un o-
rizzonte oltre i confini. Gli elementi fondamentali che
costituiscono il paradigma dell’Esodo mi sembra di poterli così
definire: uscita e liberazione; deserto come vuoto di
possesso-identità-sicurezze e viaggio in una identità basata sulle
relazioni; orientamento verso l’inedito e incontro con ciò che non è
nominato e non è nominabile. Tali elementi si ritrovano nell’evento
biblico dell’esodo del popolo ebraico dalla schiavitù dell’Egitto
verso la terra promessa. E forse è proprio dalla Bibbia che
il paradigma dell’Esodo riceve per noi occidentali la sua forza. Ma
non è in realtà un paradigma solo biblico e for- se la Bibbia
stessa lo ha desunto da uno stigma iscritto nel più profondo della
esi- stenza cosmica e umana. E’
iscritto nella genesi dell’attuale nostro universo se è vero che
l’uscita e la libe- razione delle potenzialità della materia dalla
concentrazione assoluta e onnicom- prensiva dell’atomo cosmico
primordiale è stato l’evento iniziale, il big-bang, da cui è nata
l’avventura dell’universo. E’ legato alla forza intima con
cui il feto si libera e viene liberato dall’abbraccio dell’utero
caldo e onniprotettivo, dove però, come nel paradiso terrestre,
è negato l’accesso all’albero della conoscenza. L’impulso di
liberazione che si sprigiona in questo esodo umano primordiale, cioè
nel parto, anziché spegnersi regola poi tutte le fasi di
trasformazione e di passaggio di cui si compone la vita fino alla
trasforma- zione culminante che chiamiamo morte. L’esodo
ha inoltre a che fare con ogni evento e con ogni percorso di
liberazione e con molte creazioni storiche di identità collettive.
E’declinato in modi diversi in tut- te le culture e non è
patrimonio esclusivo della Bibbia, sebbene per molti di noi e per
l’intera civiltà ebraico-cristiana l’esodo biblico, rivissuto
nell’esodo di Gesù, cioè nel suo «passaggio dalla morte alla vita»,
sia stato e sia uno degli eventi fon- danti della identità culturale
e religiosa. Se la sua attualità dunque è in qualche modo
scontata, non è scontato invece il senso che a tale paradigma può
esser dato oggi: dipende infatti dai soggetti che lo gestiscono. Ad
esempio, un conto è se di Esodo ne parla chi ha potere un conto se
tentano di riappropriarsi di un tale paradigma dal basso i senza
potere. Chi ha potere sulla memoria capace di generare il
senso della esistenza? Ritengo che sia un impoverimento
della vita e una decurtazione dell’esistenza u- mana lasciare la
gestione dei paradigmi di senso, dell’etica, dell’utopia, dei
valori, della spiritualità alle sole religioni istituite. E’ un
impoverimento e forse una degene- razione delle stesse religioni
istituite la pretesa che esse talvolta hanno di possedere in
esclusiva la verità ultima su Dio, sulla natura e sull’uomo. Le
religioni infatti sono quasi sempre originate da esperienze storiche
che hanno rivoluzionato il sistema consolidato di valori, eliminando
il potere assoluto delle caste e restituendo il potere sull’etica e
su Dio stesso all’uomo e alla donna. Questo rivoluzionamento è
partico- larmente evidente nella esperienza storica da cui è nato il
Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia che
raccontano l’origine e l’esodo del popolo ebreo, e in quella da cui
è scaturito il Vangelo. Quando si dice
Bibbia la cultura laica subito si ritrae in nome di un
concetto di lai- cità che ritengo superato. Non sono il solo a
sentire il bisogno di un esodo da una laicità gretta che consegna
una miniera di memoria storica e di letteratura come la
Bibbia alla gestione esclusiva dei poteri delle varie
religioni. Il «laico» ministro della
Pubblica Istruzione Tullio De Mauro in una intervista al periodico
Famiglia cristia- na del settembre 2000 si rammarica che la
Bibbia sia relegata nelle ore di insegna- mento della
religione cattolica e insegnata solo come libro sacro per la fede
confes- sionale. Egli auspica che la Bibbia entri nella
didattica come testo fondamentale alla pari dell’Odissea o
della Divina commedia. L’accettazione remissiva del mono-
polio ecclesiastico sulla Bibbia genera infatti una grave
carenza culturale. Si può avvicinare la Bibbia privilegiando
l’esegesi storica senza dipendenze dall’autorità religiosa e dal
dogmatismo confessionale. Le tribù del nomadismo povero
del deserto arabico che sono protagoniste dell’E- sodo biblico e le
comunità formatesi intorno al nomadismo di Gesù che sono prota-
goniste del Vangelo non hanno nessun potere su Dio e
sull’etica: sono semplice- mente sradicate. Il potere se lo
conquistano sottraendolo alle caste e la loro rivolu- zione ha un
significato universale. Il potere su Dio e sull’etica insomma lo
conqui- stano per tutti in ogni tempo. E noi oggi possiamo
riappropriarci dal basso di para- digmi generatori di senso come
l’Esodo senza dover chiedere il permesso a nessun potere stabilito
ma per il semplice fatto di essere donne e uomini in
ricerca. Ho inteso evitare la lezione specialistica,
teologica o filosofica, sia perché non ne avrei adeguati strumenti
sia soprattutto perché ho voluto riflettere ad alta voce re- stando
fedele alla esperienza che sto vivendo della strada e della piazza,
oltre i con- fini, i ruoli stabiliti, le mura di cinta, le
appartenenze, attraverso una costante socia- lizzazione comunitaria
e perciò non specialistica, problematica e plurale. Anche i ri-
ferimenti culturali, le citazioni, sono per lo più orientati verso
persone o realtà sociali che hanno coniugato la loro riflessione
intellettuale con la testimonianza di vita. Ho utilizzato anche
spunti desunti da mie precedenti pubblicazioni.
Ho
ritenuto necessaria una prima parte storico-esegetica, richiamata e
precisata poi nei singoli capitoli successivi, per storicizzare il
paradigma, liberarlo dalla mum- mificazione atemporale-sacrale,
vederlo in una luce quanto più possibile obbiettiva e positivamente
laica, meno ideologica, meno moralistica e non confessionale. Nei
successivi capitoli sviluppo una ricerca di attualizzazione su
quattro componenti es- senziali dell’esodo biblico: la liberazione,
Mosè, il deserto, l’evento del Sinai, che pongo a confronto in modo
problematico con momenti della realtà attuale. L’esodo
biblico è narrato fondamentalmente in quattro libri della
Bibbia che si in- titolano: Esodo, Numeri, Levitico,
Deuteronomio. Insieme al libro della Genesi, che li precede e
che racconta la creazione e la storia dei patriarchi a cominciare da
Abramo, quei quattro libri formano un complesso letterario che si
chiama Pentateu- co, che vuol dire proprio «cinque
libri». E’ la parte più antica e
fondamentale della Bibbia.
dal cap. 2
La liberazione
L’esperienza di esodo dell’Isolotto.
L’Isolotto ha
una storia, una briciola di storia, da raccontare in proposito e
degli interrogativi da porre. La racconto perché ritengo che nessuna
eco per quanto te- nue del grido di riscatto storico del sangue di
Abele debba andare persa.
«Uno stesso filo lega inscindibilmente le stazioni della
interminabile via crucis di stragi senza autori » è scritto in una pubblicazione della Comunità
dell’Isolotto, Ol- tre i confini, edito dalla LEF nel
1995. La magistratura italiana si mostra impoten- te di fronte alla
criminalità stragista perché solo ora incomincia a seguire la pista
dell’intreccio infame. Se l’avesse seguita fino dal 1969, non
sarebbe ancora a bran- colare nel buio esoprattutto sarebbe stata
contenuta l’ondata di violenza e di corru- zione che ha investito il
paese negli anni '70-'80. Invece, nel 1968-69, la magistra- tura era
tutta dedita a perseguire, con gli strumenti repressivi dello stato,
gli stessi obbiettivi che l’intreccio criminale raggiungeva con le
stragi: reprimere e bloccare il movimento studentesco e operaio. Il
processo alla Comunità dell’Isolotto è emble- matico e forse
inaugura la stagione dell’uso depistante e repressivo dei processi
che pioveranno a decine di migliaia sul movimento del
'68-'69. La notte del 29 dicembre 1968, alle porte della
chiesa dell’Isolotto, nella quale al mattino dovrà esser celebrata
la prima Messa dell’inviato del vescovo, dopo la ri- mozione del
parroco, viene affisso un volantino che porta una firma inedita e
inquie- tante: «Le squadre d’azione
fiorentine»: una sigla di comodo dietro la quale
si cela la rete di organizzazioni neo-fasciste ritenuta ormai da
molti, anche da alti livelli isti- tuzionali, come la esecutrice
materiale delle stragi.
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