Ponte a Buriano

di Gian Lorenzo Mellini

 

                                        Ponte a Buriano, Val di Chiana

 

 

Da qualche giorno si legge nelle cronache locali di alcuni quotidiani della To- scana la notizia, allarmante nell'indifferenza generale, che nientemeno che un ponte medievale sull'Arno finirà sommerso in seguito a lavori  urgenti di regi- mentazione del fiume, al fine di scongiurare a Firenze il rischio di future allu- vioni disastrose come quella del 1966.

Conosco quel ponte come uno di più imponenti e poetici: lungo e stretto sul tracciato dell'antica via Aretina, a cavallo di un punto larghissimo del fiume sotto il colle di Rondine alla confluenza della Chiana, là ove l'Arno «spazia», davvero come disse Dante, e le cui acque, quando basse, sono incredibilmente limpide e trasparenti tra le rive di canne. 

Costituito da molte arcate (di cui due interrate), esso è bellissimo sia nella struttura che rievoca quella delle mura dugentesche di Firenze, solida peraltro da resistere alle piene cariche di tronchi d'albero immensi che restano sempre avvinghiati alle lame delle sue basse pile, sia come disegno, quale risalta alla veduta da vicino e da lontano: un colpo d'occhio superbo capace di riportarci in un'immaginaria Provenza. A parte l'ingegneria questo ponte ha una storia che ormai nessuno più conosce.

Scrive, per esempio, il Repetti nel suo celebre Dizionario geografico ecc., che es- so «fu riedificato dagli Aretini nel 1179; rinforzato più volte, e rifondate le sue pile nel 1558, nel 1750 e nel 1763».

Mi chiedo se la prima posa non fosse dei romani. Si sa poi che fu sottratto dagli Alleati nel '44 alla furia dei tedeschi, che  volevano farlo saltare. Tra non molto esso dovrebbe, si dice, finir sott'acqua, ma non senza danno, perché è prevedibile che, senza più manutenzione, le correnti lo disfarebbero e, con es- so, il piccolissimo quanto grazioso oratorio seicentesco dedicato a S.Francesco al suo capo, nonché tutto il paese di Buriano, e questo e quelli con dichiarato dispiacere degli abitanti.

Che senso ha tutto ciò? Nessuno.

Non si vede infatti che significhi distruggere sicuramente arte e storia per sal- vaguardarne ipoteticamente  altra. Chi è che si può assumere la responsabilità di tali scelte? Soprattutto: come definire una cultura tecnologica, oggi, alle so- glie del Duemila, che non è nemmeno in grado di difendere il patrimonio dei cosiddetti beni culturali ed ambientali?

Non voglio entrare in questioni idrauliche, di cui non ho competenza: certo appare quanto meno strano però che siano degli «idraulici» a decidere di que- stioni storiche ed artistiche. Meglio girare la domanda.

Cosa ne pensa di tutto ciò il ministro competente, dr.Ronchey?

 

 

 

 

luglio1993