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Strategie retoriche e finzioni autoconfessionali nelle lettere familiari di una letterata del Cinquecento
di Gabriele Niccoli
 

 


   L'atteggiamento della critica verso l'opera delle cortigiane letterate in genera- le ?stato, fino a tempi certo non remoti, improntato ad un gusto in cui la moti- vante pietistica ha continuato a colorarsi di compiacenze decadenti: l'immagine della soave cortigiana letterata veneziana, peccatrice apparentemente poco proclive al pentimento di prammatica, ha continuato a riemergere come bersa- glio di facili riprovazioni, mentre l'artista o, se si vuole, la donna che cerca nel- l'esercizio letterario una sua e tutta personale liberazione, ha continuato ad es- sere tenuta in una luce ambigua. A comprendere o giustificare storicamente si- mile posizione potranno valere alcune riflessioni sul fatto che la definizione completa di un personaggio quale, ad esempio,Veronica Franco non pu?esse- re attuata semplicemente sul piano di una esclusiva analisi stilistico-letteraria, ma deve inevitabilmente sostenersi su dati tratti dalla storia del costume. Uno degli sviluppi sicuramente pi?interessanti nella critica letteraria dell'ultimo de- cennio ed oltre ?costituito da una tendenza fortemente revisionistica verso la letteratura del nostro Cinquecento, una fra le pi?significative, seppur comples- se, epoche nella intera gamma della nostra civilt?letteraria. I risultati che emer- gono da questo filone sempre pi?importante di ricerche illustrano con accatti- vante eloquenza il rigore scientifico con il quale schemi critici ormai datati vengono modificati, e radicati canoni maschilisti rimessi in discussione. In que- sta rinnovata ottica, alcuni autori maggiori vengono ulteriormente approfonditi, mentre altri la cui sorte letteraria aveva relegato al confino e fra i quali, non va dimenticato, un cospicuo raggruppamento di scrittrici, vengono sistematica- mente riscoperti per essere meglio valutati alla luce dei nuovi orientamenti cri- tici. I critici, dall'Ottocento fino al Croce ed oltre, hanno insistito sul rilievo della componente biografica nell'opera della scrittrice cinquecentesca.
   Sarebbe forse necessario insistervi di pi? meglio vedervi le modalit? storiche secondo cui tale componente si trasforma in materia d'arte.1  La letterata vene- ziana propone se stessa come protagonista assoluta della propria poesia e delle sue prose, elabora episodi scelti da una prospettiva singolarmente realistica del- la propria vita di cortigiana onesta nel mondo veneziano del secondo Cinque- cento. Da questa presa di posizione risulta prima di tutto, ed anzi come motivo informatore generale, il tentativo di un tipo di emancipazione femminile che pu? ben essere sentito ora, nel clima prodotto dal contemporaneo movimento di post-liberazione della donna con inedita partecipazione e simpatia, ma che in passato veniva svisato in partenza, poich?subito incanalato verso categorie grossolanamente estranee proprio agli individui su cui venivano forzate. Inten- diamo riferirci ai numerosi tentativi di collegare l'esperienza di alcune celebri cortigiane rinascimentali (Tullia d'Aragona, la nostra Veronica, fors'anche la stessa Gaspara Stampa), le loro ansie di infrangere strutture sociali umilianti, attraverso l'affermazione della loro preminenza intellettuale, alla posizione rag- giunta nel mondo classico da etère come Aspasia.
2  Nessuno si ?fermato a no- tare come ci?possa costituire un autentico paralogismo. Con Aspasia e le sue antiche compagne, le cortigiane letterate del nostro Rinascimento hanno ben poco o praticamente nulla da spartire, se le consideriamo dal punto di vista del- la loro attivit? letteraria, o culturale in genere. Forse meno di tutte Veronica Franco. Veronica vive nel suo tempo, fiera della sua patria veneziana, della sua citt?miracolo umano, della libert?goduta dai sudditi della Serenissima, ed at- tenta, qualsiasi possano essere state le sue capacit?di recezione, a tutte le varie voci della cultura circolanti in quella metropoli lagunare, splendido centro di incontri nazionali ed internazionali.
   Proiettare la sua immagine verso il passato classico comporta il rischio di de- formarla irreparabilmente, di infrangerla nelle insostenibili strettoie di categorie idealistico burchartiane. Alterare la natura del dato biografico, confondendolo attraverso paragoni con figure lontanissime, proprio perch?offende codici con- venzionali, o continuare ad isolarlo nella sua non difendibile miseria, senza vo- ler neanche vedere esattamente qual genere di fiore pu?nascere da questa, si- gnifica uccidere Veronica due volte, cio?come artista  e come essere umano il cui diritto alla ascesi viene negato.

   La novit?della posizione di Veronica Franco, la cui voce ? stata acutamente definita da Rocco Scrivano come «un campanello di allarme di una mutata si- tuazione del gusto, che si allarga fino a dare il senso di un mutamento interno delle condizioni della civilt? cinquecentesca?3 potrebbe in altra sede essere meglio valutata attraverso un confronto con la sua quasi contemporanea Ga- spara Stampa, e partendo da zone limitrofe gi?accertate in sede critica.4  Da quei momenti cio?in cui Gaspara abbandona pi?recisamente i consueti para- digmi petrarcheschi e coglie la sua ispirazione da una realt?non mediata attra- verso filtri precostituiti. La maggiore intensit?poetica di Gasparina pu?quindi essere vista nella sua capacit?di investire schemi espressivi tradizionali di una sua carica sentimentale personalissima. Ed ?proprio su queste note che inco- mincia a differenziarsi Veronica, ora ironica e distante, ora calcolatamente fredda e feroce, ora lieve, leggera, elegantemente sbadata, ma solo raramente sentimentale. Ma vi ?di pi?e di pi?importante:
   Veronica persegue quel tipo di virt?in base a cui la donna comanda rispetto in una societ?dove ancora l'uomo domina, talvolta e, specialmente nel suo ca- so personale, fino alla crudelt?efferata - un tipo di ricerca insomma che mai si attua di proposito nell'opera della Stampa. La storia personale che la letterata veneziana ci racconta nelle Lettere familiari, a parte la congenita frammentariet?di ogni raccolta epistolare, appare ovviamente edita. Dal punto di vista temati- co, ritroviamo motivi gi?trattati nei capitoli in terza rima. Tra l'opera poetica e quella in prosa esistono dunque voluti legami. Sembrerebbe perci?utile vedere, come ancora sistematicamente non ? stato fatto, quali ragioni possono aver in- dotto la Franco, gi?sicura del successo come poetessa, a provarsi nella prosa; secondariamente, ci sembrerebbe altres?utile rilevare come in quest'ultima for- ma espressiva la scrittrice non rinnova i momenti a cui si concede nel verso, dove la scopriamo talora adorabilmente esplicita in quella sua eleganza istinti- va da giovane incantatrice. La prosa sembra imporre alla nostra una compo- stezza spinta talvolta fino alla contegnosit?per involuzione stilistico tematica e da qui fino alla oscurit?di certi momenti di stanchezza. In un rapidissimo in- quadramento storico bibliografico, noteremo che le Lettere familiari di Veronica Franco presentano caratteristiche esteriori diverse da quelle dei comuni episto- lari del Cinquecento, forse a lei noti, da quello del Bembo (Roma, 1548-52), a quello di Claudio Tolomei (Venezia, 1547), a quello, famosissimo, di Annibal Caro (Venezia, 1572-75), senza poi dire delle raccolte di lettere di diversi, compilate secondo criteri tematici, come le Lettere di Principi (Venezia, 1562-77) e quelle fortunatissime Lettere facete e piacevoli, pubblicate per la prima volta nel 1564 dal veneziano Zaltieri e largamente ristampate in seguito. Note- remo inoltre che le lettere della Franco sono prive di data e di firma; il nome del destinatario vi viene omesso, la formula di congedo eliminata, e il riferi- mento a personaggi viventi, a parte rare eccezioni, avviene indirettamente, sen- za menzionare nomi e con l'uso rarissimo di sigle. Tutto questo sembra indicare che in effetti la Franco non intese pubblicare la sua corrispondenza privata, o perlomeno parte di essa, come autenticata cronaca della sua esistenza, rivelan- dosi, come fa il Tasso, nella nudit?dei dettagli della sua vita vissuta e con tut- to il graduare delle reazioni spontanee determinate dalla serie di fatti ed eventi a cui il mestiere di vivere ci espone. Gli interventi gi?indicati sembrano indica- re invece una spinta verso il metastorico, nel senso che l'elemento di cronaca i- nevitabilmente legato alla comune lettera familiare, oscurato o soppresso come dato circostanziale, da fatto intelligibile nei limiti di un tempo specifico diviene fatto tipico e tende ad essere fuso in un nuovo insieme animato da desiderio di esemplarit? La Franco non giunge cos?alla lettera trattato di tipo umanistico, poich?la discussione su qualsiasi tema dal punto di vista metafisico e specula- tivo rimane assente. Come accuratamente sostiene l'Aguzzi-Barbagli, nella Franco «la lettera familiare tende a metamorfosizzarsi in tessera di romanzo autobiografico.?/font>5 La riprova di questa tendenza ci viene offerta dall'esame sti- listico: lo stile della prosa della Franco rimane sostanzialmente omogeneo, sen- za varianti di base da lettera a lettera, da momento a momento; uno stile unifi- cato nel senso di una continuit?imperturbata, mal concepibile nel vivo di rac- colte epistolari allo stato originario, quando naturalmente lo stile deve variare secondo le mutazioni di fattori temporali e circostanziali. La scrittrice, conti- nua il compianto critico americano, ?.. cerca di dare di s?un ritratto coerente, rilevato su alcuni dati biografici opportunamente scelti e profilati sullo sfondo di una societ?che non si configura nei suoi aspetti specifici ma li attenua nel- l'amalgama di un chiaroscuro inteso ad accentuare il rilievo dell'immagine cen- trale.?sup>6 Una prima verifica di questo fatto pu?essere offerta dalla semplice constatazione che il divario fra il tono sicuro, se non sempre calmo, delle lette- re ed il corso degli eventi attuali della vita loro referente ?impressionante.

   Le Lettere vennero pubblicate nel 1580, e definite nella presentazione come «giovanili? A quell'epoca Veronica ?trentaquattrenne. Giovanissima ha sposa- to un medico, poi misteriosamente eclissatosi dal suo mondo. Non si conosce con esattezza l'epoca del suo ingresso nell'ambiente del meretricio elegante, tuttavia il suo nome appare nel famigerato Catalogo delle cortigiane di Venezia, e il suo prezzo ? bassissimo, infamante.7  Il suo nome ispira uno dei pi?violenti ed osceni attacchi pubblici contro una cortigiana rinascimentale. Il lurido libel- lo, in dialetto veneziano, viene proprio dal circolo dei suoi amici pi?cari, quei Venier letteratissimi capeggiati da Domenico. ?la sonettessa composta da  Maffèo Venier e che inizia con un verso che ?in realt?una staffilata sul viso: «Veronica verunica puttana.?sup>8  Il fratello Sebastiano, al quale Veronica ?devo- ta, ?prigioniero dei Turchi. La madre continua le sue prestazioni come mere- trice pubblica. Le nascono sei figli: due sopravvivono. Veronica li adora. Nel 1580, non si sa se prima o dopo la pubblicazione delle Lettere, la Franco viene denunciata al tribunale del Sant'Uffizio dal precettore del figlio Achillino come meretrice pubblica dedita a pratiche magiche a scopo di furto, favoreggiamento di giochi proibiti, violazione delle leggi sumptuarie contro le donne del suo rango. Si difende e viene assolta dalle accuse.
  Ben pochi, ci viene da pensare, potrebbero sollevarsi da tanta miseria, trovare una voce umana in mezzo a tanti miasmi da suburra. Questo esattamente f?nbsp; Veronica Franco nella undicesima delle sue Lettere familiari:


 
Di molte cose incontratemi nella vita posso ragionevolmente dolermi della contraria sorte... ma la fortuna per l'ordinario non ha forza, n?autorit?nell'animo e nella volont?umana.9

Animata da tale spirito, sa trovare il coraggio di aprire emblematicamente la sua raccolta con la lettera a Enrico III di Valois, commemorativa della visita fattale dal giovane sovrano nella sua dimora veneziana. Quivi, immemore, si trasferisce nelle sfere del mito vagheggiato attraverso la memoria di Lede, Alc- mene, Europe, Dafni, mortali e semidee captate nella profferta d'amore al gran- de Zeus dimentico delle sue pompe. Epifanica memoria. La carismatica distan- za di queste pagine introduttive si disperde; ricompare Veronica terricola, non frantumata dalla tragedia del vivere, ma attenta nel frapporre tra esperienza e giudizio i filtri della ragione e della «buona civiltà», come lei definisce il deco- roso contegno nei rapporti di societ? Proprio qui l'equilibrio tra retorica e reali-

smo si definisce e si raffina. E per retorica intendiamo non solo la tecnica della espressione, ma lo stesso procedimento retorico nel senso elaborato dalla tradi- zione teoretica cinquecentesca di arte dell'istruire il lettore alla comprensione della vita umana e delle cause e degli effetti che la rendono intelligibile.
   Passando ad una discussione pi?ravvicinata dell'opera in prosa della Franco, saremmo tentati di analizzare la lettera ottava e la quarantasettesima di per s?e in relazione al capitolo sedicesimo, proprio per vedere pi?dettagliatamente la natura del femminismo di Veronica, o quel bigliettino elegantissimo in cui la scrittrice, cosciente o meno, sembra rifondere in chiave manieristica tutta per- sonale la sostanza del notissimo invito a cena di Catullo (?i>coenabis bene apud me?, proiettandola sullo sfondo di una malinconica giornata di pioggia a Vene- zia, aperta al conclusivo approdo in un alone di grazia e di fascino che sembra polarizzare l'atmosfera di modesto festino tra intimi. Limitiamoci per?alla let- tera ventiduesima, a nostro parere una delle pi?significative ed artisticamente compiute documentazioni degli sviluppi della letteratura epistolare cinquecen- tesca. Il contenuto ?singolarmente semplice nella sua abiezione squallida. Una conoscente, ovviamente madre povera, ha discusso con Veronica il futuro della propria figlia. La Franco sa bene che «le case delle povere madri non sono pun- to sicure dall'insidie dell'appetitosa gioventù» e si ?offerta di aiutare nel mi- gliore dei modi per «poter onestamente maritare la giovane.?(Lett. XXII). D'improvviso e senza ragione apparente la madre ha deciso di avviare la figlia alla professione di cortigiana. Veronica stila la missiva con il preciso intento di implorarla a desistere da tale disegno e, se non vorr?farlo, mai pi?osare di ve- derla o parlarle. Questo breve riassunto autorizza di gi?una prima legittima congettura. Infatti non appare verosimile che la Franco, la corrispondente di sovrani ed aristocratici, abbia mai voluto, n?in realt? potuto, inviare una mis- siva talmente raffinata dal punto di vista letterario ad una donna di basso ran- go, evidentemente senza marito o perlomeno amici in grado di proteggerla, possibilmente analfabeta e sicuramente alquanto incolta, in pericoloso equili- brio sul mondo della malavita. Sembra quindi evidente che la lettera ventidue- sima sia o un rifacimento tutto letterario di una possibile esperienza reale, op- pure una completa invenzione fondata su spunti biografici - la madre di Ve- ronica sembra averla avviata alla sua professione e compare nel Catalogo citato come sua mallevadrice - spunti rifusi in una prospettiva artistica di violenta reazione contro un fenomeno non nuovo nella societ?del tempo e di gi?sfrut- tato da un angolo visuale scandalistico nella precedente letteratura libertina.10
   Si ricordi a questo proposito il movimento d'apertura del Ragionamento del- dell'Aretino ed il susseguente Dialogo tra la Nanna e sua figlia Pippa.11  In altre parole, la lettera in questione ha, quante altre mai, esplicite caratteristiche di tessera da romanzo autobiografico. Per quanto riguarda l'elemento sincerit? o realismo d'ispirazione se vogliamo, questa lettera addirittura ne trasuda dall'ini- zio alla fine, ed i documenti illustrano che le profferte di fatto di Veronica sa- pevano essere ben altro che finzione letteraria. Infatti i suoi due testamenti (quello del 1560 ed ancor pi?esplicitamente quello del 1575) mostrano che la  testataria assegna una somma a beneficio di giovani povere che desiderino ma- ritarsi, o a meretrici decise ad abbandonare tal vita. Maffeo Venier, nella so- nettessa ricordata, aveva sottolineato come Veronica era divenuta esperta del mondo della bassa prostituzione dove, secondo lui, era stata «un zorno incoro- n?da le puttane / In mezo Carampane.?sup>12  Nella lettera ventiduesima la Franco non ?pi?la Veronica Danae dell'apoteosi mitologico regale dell'inizio, n?tanto meno la grottesca regina degli impestati ladri di Garampane, il quartiere vene- ziano dei postriboli. Tra quei due poli cos?lontani ritrova ferocemente se stes- sa, nulla rinnegando delle sue esperienze di fatto, gi?responsabili di averla con- dotta a contemplare un caso del genere, sana tuttavia nella sua impavida uma- nit? Scrive, lei grida, perch? ?.. col liberarmi dall'imputazione, soddisfaccio all'obbligo della umanit??Vuol lavare la propria umana coscienza e mai perde- re di vista l'umano negli altri: ecco quello che Veronica vuol essere, espresso qui in forma violenta e ribelle, mai indicato con tanta lucida fermezza nella opera della Stampa, la dolcissima Madonna Gasparina dei critici a tendenze ro- mantiche. Lo stile si adegua a questa impennata di un sentire sottaciuto prima. Il preziosismo, la ricerca del concetto affidata a complesse strutture ipotatti- che, scompaiono nel vortice di una dialettica dell'angoscia. Veronica tenta di penetrare in una mente restia con la semplicit?di elementari princìpi di de- cenza: «E v'abbia pregata e ammonita... ?poich?il mondo ?cos?pericoloso ... E che le case delle povere madri... E di giovarle... E m'offersi... e di pi?d'aiu- tarvi...?(Lett. XXII) Tale tecnica d'associazione rettifila assume movenze pi? concitate allorquando Veronica rievoca l'inaspettato riapparirle dinnanzi della figlia ormai irriconoscibile:

  Dove prima la facevate andar schietta d'abito e d'acconciamento, nella maniera che conviene ad onesta donzella, co veli chiusi dinanzi al petto e con altre circonstanze di modestia, a un tratto l'avete messa sulla vanit?del biondeggiarsi e del lisciarsi e d'improvviso l'avete fatta comparer coi capegli inanellati alla fronte e nel collo, col petto spalancato ch'esce fuor dei pan- ni, con la fronte alta e scoperta e con tutte quelle apparenze e con tutti quegli abbellimenti, che s'usano di fare, perch?la mercanzia trovi concorrenza nello spedirsi. (Lett. XXII)

   Questa povera adolescente inerte, agghindata secondo i canoni della turpitu- dine, non tocca le corde del comico, cos?pronte a scattare nello spirito di Ve- ronica in circostanze diverse. Scatena invece la sua ribellione contro destini im- posti da ingiustizie sociali istintivamente percepite. Scatena la sua ribellione, non mediata speculativamente, di cortigiana figlia di cortigiana che rivede parte di s?in quella fanciulla cos?«messa? E ridiventa madre, pronta per la sua crea- tura a rinnegare tutto un universo di male. ?poi per piet? umana verso una in- nocente che sta per essere gettata nell'abisso, si dichiara esperta di tecniche meretricie. La sua esperienza non l'inganna. ?una sfida che ha dell'eroico, sep- pur consumandosi solamente sul piano della finzione letteraria. Sordidamente idiota, secondo la nostra, ?l'immagine che una simile sempliciotta goffa possa diventare miniera di ori cortigianeschi:

  ?cos?poco bella, per non dir altro, perch?gli occhi non m'ingannano e ha cos?poca grazia e poco spirito nel conversar, che le romperete il collo, credendola far beata nella professione de- le cortigiane. (Lett. XXII)

Occorrono altre qualit? persino a chi sia dotata di bellezza, maniere e giudizio. Ben lo sa lei, che procede con toni da far ricordare il miglior Machiavelli nella loro disincantata saggezza. La mamma della ragazza ha insinuato che la nostra parli cos?per tema di concorrenza professionale. Veronica non ribatte simile subdola accusa: continuando a difendere quella povera «donzella?che come se- duttrice potenziale non «eccede la mediocrità», lo stile ha una nuova impenna- ta. Veronica non spiega, non cerca di convincere pi? Ricorda. E l'urlo scompo- sto si tramuta in condanna non priva di disgusto e di disprezzo:


  Troppo infelice cosa e troppo contraria al senso umano ?l'obbligare il corpo a l'industria di u- na tal servit? che spaventa solo a pensarne. Darsi in preda di tanti con rischio d'esser dispo- gliata, d'esser rubbata, d'esser uccisa... mangiar con l'altrui bocca, dormir con gli occhi altrui, muoversi secondo l'altrui desiderio... qual maggiore miseria? quai ricchezze, quai commodit? quai delizie posson acquistar un tanto peso? Credete a me...che perdizione e che certezza di dannazione ?questa? (Lett. XXII)


Come ha accuratamente intuito l'Aguzzi-Barbagli, l'evidente moralismo di Ve- ronica non si colora di ansie trascendentali, ma rimane fermo sul piano del na- turale umano, sul rispetto dei fondamentali diritti dell'individuo. Proprio su questa nota, sulla responsabilit?dell'uomo verso l'uomo, sui doveri pi?atavici e connaturati della maternit? Veronica invia la sua ultima deprecazione:

  Nostro Signore vi guardi col rimanervi dalla mala intenzione che mostrate avere di guastare e corrompere la fattura del vostro proprio sangue e delle vostre proprie carni. (Lett. XXII)

Respinto questo ultimo ammonimento vi sar?solo il suo sdegnoso, ripugnato e lacerato silenzio.
   Ci sembra doveroso, nel concludere, confessare che il tentativo di fare della nostra letterata una antesignana di Richardson con Pamela, o degli autori delle  Lettres Persannes e di Liaisons dangereuses, senza qualificare accuratamente, sareb- be assai rischioso.
13  Manca alla Franco delle Lettere familiari la forza di cemen- tare in un insieme organicamente articolato una intuizione passibile di larghi sviluppi artistici, ma ancora non chiaritasi nel suo potenziale nuovo ed innova- tore. Questo ?uno dei motivi per cui la Franco non pu?essere del tutto tolta dalla schiera degli autori minori. L'adeguata e compiuta storicizzazione della sua personalit?nel suo tempo a nostro parere non potr?comunque attuarsi, a meno che non si approfondiscano ed allarghino i problemi presentati in manie- ra schematica in questo breve saggio. L'analisi delle scelte tematiche, il conse- guente adattamento di materiale autobiografico (o d'invenzione) ad un nuovo tipo di autobiografismo generatore di un autoritratto ispirato a princìpi dove il rinascimentale ?i>faber fortunae suae?acquista tonalit?nuove, la componente re- torica che viene a condizionare il realismo della materia prima e lo stesso an- golo prospettico nella generale visione del reale, l'adeguamento dello stile alle necessit? presentate da questa serie di condizionamenti, sono tutti fattori da sondare proprio per allargare convalidandola l'intuizione dello Scrivano quando sentiva nella voce della Franco la spia di una mutata situazione del gusto. Tale operazione potrebbe avere una sua risonanza anche in territorio comparativi- stico. Forse troppo facilmente Veronica Franco ?stata accostata a Louise La- b? a Marion Delorme, a Ninon de Lenclos. Ci viene da temere che tale vici- nanza sia stata determinata sopratutto dal punto di vista «professionale?Quan- do il Saint-Evremond diceva a proposito della sua grande amica Ninon ed in termini applicabili a Veronica:


  Ces femmes extraordinaires semblent avoir emprunt?les mérites des hommes; et peut-être qu'elles font une espèce d'infidelit??leur sexe, de passer ainsi de leur naturelle condition aux avantages de la nôtre...14


aveva forse qualche buona ragione, ma aveva pure gran torto. E ci? proprio perch?ovviamente gli apporti culturali non possono essere catalogati secondo distinzioni di genere dell'apportatore. Tra l'altro, Ninon vive storicizzata come Musa dei libertini intellettuali francesi della prima met?del Seicento, come par- tecipe del loro movimento di ribellione contro schemi intellettuali ormai ina- deguati. Proprio su questa nota vediamo Veronica come precorritrice di Ninon; proprio in quella sua maniera di estendersi verso il futuro ritroviamo tanta della sua rilevanza storica e scorgiamo come nuovissimo il suo senso della libert?e della dignit?della donna.

 

 

 



St. Jerome’s University,  gennaio 2003


 

 

 

 

 

 

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Note


1. Cfr. Margaret F. Rosenthal, The Honest Courtesan, University of Chicago Press, 1992; Arturo Graf, Attraverso il Cinquecento, Torino, Loescher, 1916. Mu- tati criteri critici si fanno intravvedere nelle pagine di Georgina Masson, Courte- sans of the Italian Renaissance, London, Secker & Warburg, 1975; Benedetto Cro- ce, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, III, Bari, Laterza, 1952, 218-234; Marcella Diberti Leigh, Veronica Franco. Donna, poetessa e cortigiana del Rina- scimento, Ivrea, Priuli & Verlucca, 1988;

2. Cfr. J. Burckhardt, The Civilization of the Renaissance in Italy, New York, 1961; Graf, cit.

3. Cultura e letteratura del Cinquecento, Roma, Ateneo, 1966.

4. Cfr. Fiora Bassanese, Gaspara Stampa, Boston, G.K. Hall, 1982; Rita Casa- grande, Le cortigiane veneziane nel Cinquecento, Milano, Longanesi, 1968; Masson, cit.


5. Dialettica femminista di Veronica Franco, Proceedings of the Pacific Northwest Conference on Foreign Languages, Pullman (Washington), XXVIII, 1977, 85.

6. Ibid. Cfr. inoltre G. Niccoli, Eros and the Art of Self-Promotion in Veronica Fran- co's Terze rime, Italiana (Special Volume), Tempe, 1988.

7. Cfr. Il Catalogo delle principali e onorate cortigiane di Venezia nel  Cinquecento, a cu- ra di F. Dittico, Venezia, 1956. Si consultino inoltre A.G. Frugoni, I capitoli del- la cortigiana Veronica Franco, Belfagor, III, Firenze, 1948, 45; G. Tassini, Veronica Franco celebre poetessa e cortigiana del secolo XVI, Venezia, Alfieri, 1969, 79.

8. Cfr. M. Dazzi, Il libro chiuso di Maffeo Venier, ll fiore della lirica veneziana, Venezia, Neri-Pozza, 1956.

9. A cura di Benedetto Croce, Napoli, Riccardo Ricciardi, 1949, 20. Da questa edizione saranno tratte le citazioni delle Lettere della Franco.

10. Cfr. E. Bonora, Critica e letteratura nel Cinquecento, Torino, 1964.

11. Cfr. Ragionamenti delle donne, II, a cura di D. Carraroli, Lanciano, 1914.

12. Cfr. Dazzi, cit., 22.

13. Cfr. L. Lawner, Lives of the Courtesans, New York, Rizzoli, 1987. Si veda i- noltre a questo proposito L.S. Kaufman, Discourses of Desire, Gender, Genre  and Epistolary Fictions, Ithaca, Cornell University Press, 1986.

14. Ibid. Si rimanda a Emile Magne, Ninon de Lanclos, Paris, 1948, e al monu- mentale studio della Kelso, Doctrine of the Lady of the Renaissance, Urbana, 1956. Si veda inoltre l'ottimo saggio di Ann R. Jones, City Women and Their Audiences: Louise Lab?and Veronica Franco, Rewriting the Renaissance, University of Chi- cago Press, 1986.