A proposito di complotti  (3)

di Gaetano Quagliariello

 

 

Scrive il filosofo popperiano Dario Antiseri: « Le conseguenze di un’azione so- no infinite(...); infinite sono le possibili interazioni tra le diverse conseguenze delle azioni umane». A qualcuno queste parole potrebbero suonare come uno stantìo luogo comune. E pure, sarebbe possibile attingere innumerevoli esempi dalla più recente realtà italiana che, con la loro evidenza, testimoniano come siano tanti coloro i quali ne ignorano ancora il significato.

La mentalità costruttivista è dura a morire; non è bastata la caduta di un muro per abbatterla. Chi pensa di militare dalla parte del giusto (non importa, ovvia- mente, se questo giusto si trovi a destra, a sinistra oppure al centro), chi ritiene di poter modellare il divenire secondo un piano ed obiettivi immodificabili, non potrà mai ammettere di aver fallito per aver mal previsto le conseguenze delle proprie azioni. Preferirà riferirsi a misteriosi complotti orditi dal nemico su un terreno di scontro non lecito, che «tutto tengono» e che ad ogni sconfitta sono in grado di offrire giustificazione senza intaccare la «giustezza» del piano.

Ciuffoletti, in un brillante saggio impreziosito dalla edizione del «Saggiatore», per scoprire le origini della moderna sindrome del complotto affonda la sua a- nalisi sin nella storia della Rivoluzione francese, riattualizzando così un pro- blema storiografico di non piccolo momento.

Gaetano Salvemini scriveva nella prefazione alla sua Rivoluzione francese del 1905: «La Rivoluzione viene concepita mitologicamente come una persona in carne ed ossa che va alle urne a votare invece degli elettori.(...) Quando la Ri- voluzione è diventata un’entità personale superiore agli uomini e determina- trice dei loro atti, noi siamo condotti ad attribuire in blocco la varietà degli e- venti rivoluzionari alla Rivoluzione personificata, piuttosto che assegnare cia- scun fatto all’individuo o ai gruppi d’individui reali che ne furono storicamente gli autori». Salvemini, in polemica con Taine, imdividuava qui le radici della sindrome del complotto che, evidentemente, aveva infestato la storiografia sul- la Rivoluzione non meno del suo oggetto d’indagine. Circa trent’anni più tardi  un altro storico italiano, Guglielmo Ferrero, avrebbe portato un contributo nel- la stessa direzione nella quale Salvemini si era spinto, con le sue lezioni gine- vrine: ciò che a lungo era stato spiegato con il complotto, avrebbe potuto tro- vare un’esplicazione assai più forte considerando la spirale innestata dalla pau- ra in contesti privi di legittimità.

Essa avrebbe infine travolto gli stessi attori della rivoluzione, che avevano agi- tato lo spettro del complotto per giustificare, innanzi tutto ai loro stessi occhi, comportamenti determinati in realtà dalla paura. Cioè, dalle conseguenze inin- tenzionali delle azioni da essi stessi concepite. Tornare oggi su questi nodi sto- riografici, ricostruire la sindrome del complotto come ha fatto Ciuffoletti nel suo saggio, non rappresenta soltanto la riproposizione di un’interessante tema- tica di ricerca. E' anche un invito ed un avvertimento. Mentre la prima Repub- blica va lentamente trasformandosi in materia di riflessione storica, proprio al sapere storico spetta il compito di riguadagnare l’intelligenza e la comprensione di questo tempo, rintracciando dietro «mostri» e complotti, uomini in carne ed ossa, con i loro pregi ed i loro difetti, le loro certezze e le loro paure. Con le loro responsabilità, che spesso risultano assai più pesanti dell’essere artefici o vittime di un ipotetico complotto.

 

 

luglio 1993                                                                                                                          articoli correlati