I m i t
i d e l l a p o l i t i c a
La Retorica del complotto
Vincenzo
Camuccini, Assassinio di Cesare (part.),
Galleria
nazionale di Capodimonte, Napoli
Da quando sul finire del
medioevo l'ambito della politica da pratico diventa ideale, lo
sviluppo della teoria non ignora il mito e il suo potere
rigenerante della storia. Ma tra i miti della politica, qual è
il ruolo della teoria del complotto? Si tratta di un mito
fondante o fuorviante? Qual è il suo rapporto con la storia e
con la macchina mitologica?
In un momento in cui
s'inseguono molte ombre, che nel buio trovano consistenza, il
saggio «Retorica del complotto» (Ed. Il Saggiatore) di Zef-
firo Ciuffoletti arriva opportuno e illuminante. Gli untori
del complotto co- me lo stesso virus che c'è ma non si vede
risultano ben circoscritti e, in piena luce, più volte
sbiadiscono sullo sfondo della storia come i congiu- rati del
«Ferragus» di Balzac nella metropoli parigina.
Da «Retorica del
complotto», pubblicato in questi giorni, ma che ha già
suscitato un dibattito prima ancora di arrivare in libreria,
vi proponiamo qualche brano.
luglio
1993
Enzo D'Angelo
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da Z.
Ciuffoletti, Retorica del complotto, Ed. Il
Saggiatore, 1993
Gli archetipi della teoria del
complotto
Le moderne teorie del complotto, che spiegano le
vicende politiche come il futuro di congiure, fanno
parte di quei grandi sistemi mitologici che accompagnano i
gran- di rivolgimenti politici e sociali degli ultimi due
secoli della storia europea. Fra que- sti miti, oltre quello
del complotto, si possono annoverare il mito dell'età
dell'oro, il buon tempo antico, quando tutto era pace, ordine
e abbondanza; quello di una ri- voluzione redentrice che
permette all'umanità di entrare nella fase ultima della sua
storia e assicuri la realizzazione del regno della giustizia o
il paradiso in terra; o il mito del capo salvatore,
restauratore dell'ordine antico o costruttore di un ordine
nuovo.
Ciascuna di queste «costellazioni mitologiche»
può sorgere nei punti più diversi dell'orizzonte politico e si
può classificare «di destra» e «di sinistra» secondo il mo-
mento e il contesto. Si pensi soltanto all'ubiquità del tema
della cospirazione ebrai- ca, utilizzato ora dalla destra, ora
dalla sinistra sia nel secolo scorso che in questo, in
funzione delle vicende del dibattito ideologico o della lotta
politica. Per profondi- tà, persistenza, ambiguità, questi
«miti» della politica moderna non si differenziano poi molto
dai grandi miti sacri delle società tradizionali.
E, come questi, anche i miti politici vanno
trattati con la consapevolezza dei limiti che si incontrano
nel tentativo di decodificare l'immaginario. Il limite più
grande sta nel fatto che i miti visti dall'esterno, esaminati
dal punto di vista dell'indagine ogget- tiva, rischiano di
apparire come dei «fossili». Fra coloro che vivono i miti
nell'ade- sione della loro fede e coloro che pretendono di
analizzarli criticamente sussisterà sempre uno iato
irriducibile. Ma è un rischio da correre.
Decodificare il mito del complotto significa
trovare alcune chiavi per la compren- sione di uno dei più
potenti fattori di mobilitazione politica delle masse nella
storia contemporanea, uno stimolatore di energie di
eccezionale e a volte tragica potenza.
Le forze in campo si servono continuamente delle
cosiddette «politiche di allarme sociale» allo scopo di
mobilitare le masse contro i loro avversari oppure allo scopo
di sopperire al proprio deficit di legittimazione con uno
sfruttamento intensivo della «natura sentimentale delle
masse». Di queste politiche di allarme sociale la teoria del
complotto è quella più largamente e intensamente impiegata.
Secondo Karl Popper, che alla moderna teoria del complotto ha
dedicato pagine magistrali, essa deriverebbe dalla
secolarizzazione delle superstizioni religiose. «Tale teoria
– scrive Popper – più primitiva di molte forme di teismo,
è simile a quella rilevabile in Ome- ro. Questi concepiva il
potere degli dei in modo che tutto ciò che accadeva nella
pianura davanti a Troia costituiva soltanto un riflesso delle
molteplici cospirazioni tramate dall'Olimpo. La teoria
sociale della cospirazione è in effetti una versione di
questo teismo, della credenza, cioè, in una divinità i cui
capricci e voleri reggono o- gni cosa. Essa è una conseguenza
del venir meno del riferimento a Dio e della con- seguente
domanda: 'Chi c'è al suo posto?'. Quest'ultimo è ora occupato
da diversi uomini o gruppi potenti, sinistri gruppi di persone
cui si può imputare di aver orga- nizzato la grande
depressione e tutti i mali di cui soffriamo».
In base a questa teoria tutto ciò che accade di
negativo nella società, crisi econo- miche, trasformazioni
sociali, guerre, criminalità, disoccupazione, è il risultato
di un preciso proposito perseguito da alcuni individui o
gruppi organizzati. Lo sgretolarsi del fondamento religioso
del mondo, lungi dal significare l'avvento nell'ambito della
politica di modi di pensiero e di comportamento effettivamente
laici, e cioè spogli di qualsiasi valenza escatologica o
mitica, alimenta una dimensione della politica at- traversata
da vibrazioni religiose. Le ideologie politiche si sono
presentate, special- mente in questo secolo, con tutte le
caratteristiche delle vecchie religioni. Hannah Arendt,
studiando la propaganda dei sistemi totalitari, che, dal
nazismo al fascismo e al comunismo, fecero un largo uso della
teoria del complotto, ha messo in luce una caratteristica
delle masse moderne che può essere utile ricordare. «Le masse
moderne – scrive la Arendt – non credano alla realtà del mondo
visibile, della pro- pria esistenza; non si fidano dei propri
occhi e orecchi, ma soltanto della propria immaginazione [...] si
lasciano convincere non dai fatti, neppure dai fatti
inventati, ma soltanto dalla compattezza del sistema
[...]
quel che le masse si rifiutano di conoscere è la casualità che
pervade tutta la realtà. Esse sono predisposte a tutte le
ideologie perché spiegano i fatti come i semplici esempi di
determinate leggi ed eli- minano le coincidenze, inventando
un'onnipotenza tutto comprendente che suppon- gono sia la
radice di ogni caso. La propaganda totalitaria prospera su
questa fuga dalla realtà nella finzione, dalla coincidenza
nella coerenza».
La
teoria del complotto costituisce il perno del razionalismo
magico, lo strumento ideologico tramite il quale si verifica
la dicotomia fra Bene e Male. Essa ha stretti rapporti da un
lato con la visione mitico-magica del mondo, e
dell'altro con la no- zione di «casualità forte»,
onnicomprensiva, distinta cioè dalla nozione moderna della
probabilità da formulare secondo lo stile di discorso delle
congetture e delle confutazioni. Nello stesso tempo si pone
all'incrocio con il processo di secolarizza- zione e di
perdita della dimensione mitica del mondo che è il risultato
della moder- nizzazione occidentale. (...)
|
L'uso pervasivo del complotto e la fine della dialettica politica:
il caso ita- liano
A un osservatore esterno l'Italia potrebbe sembrare la
patria del complottismo come interpretazione delle vicende umane.
Nella cultura politica italiana sembra so-pravvivere più che altrove
la tentazione di concepire l'universo come una scrittura segreta di
cui si cerca ostinatamente di trovare la chiave. E, siccome in
Italia tutto è politica, tutto – dal
calcio alla cultura, dall'economia allo sport – è complotto, e la dietrologia riempie
le pagine dei giornali e delle riviste. Ma se il gioco funziona nei
mass media e nei salotti, nella politica vera e propria può avere
effetti perversi, spe-cialmente in un paese di deboli tradizioni
democratiche.
Per l'Italia si può rovesciare la proposizione
di Clausewitz: non è la guerra che continua la politica con altri
mezzi, ma la politica che continua la guerra. La demo-
crazia in Italia sorse da tre guerre: la guerra fra
eserciti, la guerra fra classi, la guerra
civile, e ne porta le stigmate. Inoltre, in
nessun posto come in Italia la politica è sta- ta sospesa
nell'empireo del dover essere, che naturalmente è troppo lontano dai
problemi quotidiani. Tutto questo ha generato una spirale che porta
ad attribuire sempre «ad altri» la
responsabilità delle delusioni e dei risultati, spesso negativi e
sempre insoddisfacenti, dell'attività politica (...)
Se da un lato
il fascismo, per i comunisti e in generale le sinistre,divenne una
sorta di categoria eterna, un male radicale coerentemente con quella
che Augusto Del Noce definì «la sostituzione dell'interpretazione
demonologica all'interpretazione storica», dall'altro lato
l'anticomunismo si nutrì dell'antica paura dell'«Anticristo».
(...)
Il culto di
Stalin («Baffone») reincarnò l'idea del «Salvatore», in un mito
della spe- ranza e dell'utopia, ma anche della rivincita e della
vendetta, in cui paure e senti- menti difensivi si intrecciavano a
pulsioni di potenza.
La logica
della «guerra fredda», di cui l'Italia uno dei punti critici,
congelò il siste- ma politico fino agli anni Sessanta, quando il
processo di modernizzazione e secola- rizzazione raggiunse
dimensioni ragguardevoli, provocando un secondo stress so-
ciale con epicentro nella classe intellettuale. Si evidenziò
allora l'incapacità degli in- tellettuali che si erano pensati come
avanguardia ed élite, di adattarsi alle regole della democrazia
liberale e della società di massa, che equiparava gli intellettuali
ai cittadini comuni.
C'era anche la
dolorosa perdita di status che il ceto intellettuale andava subendo
in quegli stessi anni a causa dell'espansione della scolarizzazione
di massa. Prese forma allora quell'epifenomeno rivoluzionario che fu
il '68, un periodo che in effetti si estende per un decennio dal
1968 al 1978. L'anticapitalismo del marxismo rivo- luzionario si
miscelò con l'anticapitalismo cattolico. Fu una reazione che si
nutriva di orrore per il mercato nel quale molti intellettuali si
sentivano insicuri e potenzial- mente perdenti. Una parte
consistente dell'intellighenzia italiana si riconobbe nella
rivoluzione, fece propria la fraseologia marxista e si dotò di nuove
costellazioni mi- tologiche. (...)
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A proposito di complotti
(1)
di Franco Cardini
Su «L’Espresso» di ottobre, Umberto Eco
dedica una delle sue «Bustine di Minerva» a
un’iperstoria paradossale della faccenda
Gelli-Nardi-Moro colle- gando i tre casi-chiave a un
lungo ed esilarante Todtentanz in cui entrano tutti i
congiurati o ritenuti tali d’Italia: una gran
costruzione improbabile (ma, visto come certi
mass media trattano ormai l’intricata materia
dietrologica, nemmeno poi tanto) grazie alla quale «si spiegherebbe
tutto l’affare Dreyfus e lo scandalo della Banca Romana,
la congiura delle Polveri e la Macchina Infernale di
Geor- ges Cadoudal. Per non dire di Sofri, che non può
continuare a fare il santarelli- no» .
Eco sostiene di aver avuto l’idea per la
sua decrittazione fantacomplottistica da una vignetta di
Giuliano su «la
Repubblica» del
17 ottobre: ma io ho l’im- pressione che in qualche modo
egli non sia rimasto insensibile nemmeno al gran parlare
che in questi giorni si è fatto del bel libro di Zeffiro
Ciuffoletti, Re- torica del complotto (Il
Saggiatore): un libro peraltro ispirato in una certa
misura – e Ciuffoletti lo ha detto – proprio ai due
romanzi di Umberto Eco: a Il nome del- la
rosa, nel quale ci si serve ampiamente di quel «paradigma
indiziario» del
qua- le anche gli storici discettarono ampiamente alcuni
anni fa sulla base di un saggio di Carlo Ginzburg; e a
Il pendolo di Foucault, che dispiega una
multiforme e ammirevole erudizione attorno alla
letteratura del complotto; né è da dimen- ticarsi che il
Popper, nel saggio sulla teoria della cospirazione,
aveva detto altre cose. Il complotto universale, quello
con la C maiuscola, quello dei Protocolli dei Savi
Anziani di Sion e del diavolo che appare durante le
sedute dell’improbabile Massoneria Palladiana della
quale si parlava in campo cattolico ai tempi di pa- pa
Leone XIII, non esiste: questo sostiene non da ieri
l’illustre semiologo, il quale concede tuttavia che
possano esistere semmai vari complotti piccoli, ma- gari
fondati sulla conclamata necessità di sventare complotti
altrui (le BR non agivano forse per vanificare il Gran
Complotto del Capitale – benintenso soste- nuto dalla
Chiesa, dalla CIA e dai fascisti – contro l’intero
genere umano? ). E ho i miei dubbi, poi, che Eco non
creda anche lui al Complotto universale, che – appunto
come s’insinua ne Il pendolo di Foucault – non
potrebb’essere se non di destra, dal momento che anche
lui, di recente, ha apposto la sua augusta firma in
calce all’appello (corroborato da firme molto meno
illustri della sua) teso ad appurare chi siano, quanti
siano eccetera gli studiosi con passato e radi- ci di
estrema destra i quali ancor oggi ammorbano, da quelle
F.O.D.R.I.A.(For- ze Oscure della Reazione in
Agguato) che sono, le ime latebre del nostro mon- do
culturale e universitario. Come se poi di guai, quel
mondo lì, non ne avesse già abbastanza; e già non vi
abbondassero gli imbecilli di varia origine, anche senza
far il censimento di quelli di matrice neofascista.
Quanto a me, sento di poter parlare con
assoluta tranquillità perchè sono un antemarcia, e in
vari sensi.Sono stato difatti uno tra i primi estimatori
di en- trambi i romanzi di Eco, e con una non sospetta
sollecitudine; e Ciuffoletti mi darà atto che sono stato
uno dei primi e forse anche dei più entusiasti
estimato- ri del suo libro, che egli mi ha fatto l’onore
di farmi leggere per larghi passi quando ancor era in
gestazione e del quale abbiamo più volte e a lungo
parlato. A parte il fatto che – antemarcia anche in
questo – appartengo anch’io, ebbene sì, alla
sparuta (ma quanto?...) pattuglia degli studiosi
con precedenti di estre- ma destra che turba i sonni
dell’amico Umberto Eco: e, scellerato, me ne van- vanto,
se non altro perché fin da quando avevo sedici
anni ho imparato ad as- sistere alle «cacce alle streghe» interpretando la
parte della strega: il che non sarà comodo, ma è molto
istruttivo.
L’Italia è piena di complotti; rigurgita
del polverone sollevato da troppi Cava- lieri del Giusto
e del Bene che vanno in giro a smascherare i tenebrosi
adepti della notte. Politici in crisi e free
lances(non so poi quanto free; e quanto
lances) in cerca di pubblicità non trovano di
meglio che cucire alla peggio spezzoni di oscuri fatti
di cronaca collegandoli maniacalmente fra loro per mezzo
di ardui castelli e arditi ponti non già di prove, bensì
d’illazioni, di teorie indimostrate, d’ipotesi
arbitrarie tese sul filo pericoloso della
coincidenza. Perdono volentieri le trovate della signora
Di Rosa perché ha inondato le copertine dei
rotocalchi dei suoi bellissimi occhi grigio-azzurri;
non me la sento invece per nulla di perdonare quei
funzionariotti del PDS che – con una veterotecnica degna
del Pci – hanno dato sfogo alle loro frustrazioni di
robesperriani falliti rispolveran- do a proposito di
Firenze la congiura demoplutogiudaicomassonica del
cavalier Benito Mussolini (nonno, si ricordi, della più
celebre e più carina Alessandra) e hanno pubblicato a
mo’ di liste di proscrizione i nomi, eccellenti e più
spesso no, degli iscritti toscani alle varie logge
massoniche. Ma questo miscuglio di ve- rità, di aperte
bugie, di prove reali e indizi ipoteticamente
interpretati, già il Volkoff l’aveva presentato in uno
suo romanzo, Il montaggio, come caratteristica di
lavoro del KGB e, più in generale, come fondamentale
ingrediente del siste- ma marx-leninista d’interpretare
la storia.
Un’interpretazione che appunto – e il
Profeta di Treviri l’aveva pur dichiarato – avrebbe poi
dovuto servire non già a contemplare il mondo, bensì a
trasfor- marlo. Perché la bugia è progettuale: ed è
tanto più efficace quanto più si basa su «verità» tremende ma
indimostrabili, logiche ma non necessariamente dimo-
strabili alla luce d’un miserabile staccio di prova.
Come diceva appunto Jean-Paul Marat: «Per credere a un complotto voi
avete bisogno di prove giuridiche: a me basta
l’andamento della situazione generale, le relazioni dei
nemici della libertà, gli andirivieni di certi agenti
del potere».
Peccato che, a suo tempo, i bidelli
italiani del KGB (che poi, com’è noto, s’indignano e si
stracciano le vesti se l’arma dietrologica si volge
contro di loro; vedasi la faccenda «Gladio Rossa») abbiano fatto di tutto per far
sparire il libro del Volkoff: ma l’eventuale lettore di
buona volontà ne rintraccerà l’assunto in un volume da
me coordinato appunto nel 1989(bicentenariale omaggio ai
gran- di pinocchi complottologi della Rivoluzione
francese) e sintomaticamente inti- tolato La
menzogna (ed. Ponte alla Grazie).
Complotti complotti complotti: venghino
venghino al Gran Baraccone dietro- logico. Ce n’è per
tutti i gusti: antichi e moderni, laici e religiosi, di
destra e di sinistra.
Gli ebrei avvelenavano i pozzi per
spargere il contagio in combutta col Ve- glio della
Montagna, streghe e untori volevano a ogni costo
spiantar il genere u- mano con l’aiuto benintenso del
diavolo, non si dica quel che non ha combi- nato il
pugnale dei neri gesuiti, i massoni hanno scatenato la
Rivoluzione fran- cese in odio alla Chiesa e ai regni
cristiani, le malefatte degli anarchici non si contano;
per non dir nulla dei fascisti, più volte denunziati da
finissimi cesel- latori della dietrostoria quali –
ricordate – Camilla Cederna come responsabili dei più
efferati crimini e delle più atroci congiure dell’ultimo
mezzo secolo e re- sponsabili con ogni probabilità non
solo della strage di Bologna, ma anche del- l’alluvione
del ’66 e dell’acqua alta a piazza San Marco
(presumibilmente per punire Firenze e Venezia,
notoriamente città antifasciste).
La complottomania nasce quando il
paradigma indiziario esce dal rispettabile mondo degli
strumenti dell’esegesi scientifica per esser utilizzato
(e se ne fa, appunto, uso improprio) in quelli tanto
meno rispettabili del dibattito politico e
giudiziario.
Il complotto è la scorciatoia grazie alla
quale si può finger di aver capito tutto quando, al
contrario, non si sta capendo un bel niente di niente;
per questo, nei momenti di crisi politica o sociale,
esso riemerge come ricerca pressante di un Capro
Espiatorio l’identificazione del quale costituisca il
taglio del nodo di Gordio dell’emergenza e restituisca
alla gente unità all’individuazione del Ne- mico
Metafisico da battere.
In Germania nel ’33, con questi
presupposti e grazie a meccanismi propagan- distici del
genere, un pugno di disperati e di scellerati ha vinto
le elezioni riu- scendo a tirar dalla loro parte – sia
pur temporaneamente – anche gente come Schmitt,
Heidegger e Furtwängler.
Ricordiamocene, prima di entusiasmarci
troppo anche dinanzi ai Nuovi Eroi di tangentopoli:
perché sovente – anzi, è forse una regola strutturale –
la psico- si del complotto evoca come immediata
conseguenza la necessità di un salva- tore.
Vigilate, dunque: perché, se il Grande
Complotto non esiste, di complotti pic- coli, parziali,
limitati ma provvisti di ben precisi programmi ce ne
sono eccome, e tanti.
E sovente chi grida al complotto è in
realtà egli stesso un complottatore che sta organizzando
un po’ di polverone per lavorar
indisturbato.
Attenzione: il ventre che, in passato, ha
partorito Complotti e Salvatori è an- cora gravido. Lo
sarà sempre. Sta a noi, come raccomandava Paolo di
Tarso, vigilare.
luglio 1993
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A proposito di complotti
(2)
di Giovanni Sabbatucci
Perchè le spiegazioni basate sulla
«teoria del complotto» hanno avuto e hanno tanta
fortuna? I motivi principali sono due.
Il primo è che la realtà è
terribilmente complessa, mentre gli schemi
ideologici con cui cerchiamo di interpretarla sono
forzatamente semplici, o semplicistici. La teoria
del complotto serve ad adeguare la realtà agli
schemi, a renderla sem- plice. Questo riguarda non
solo gli incolti e gli illetterati, ma anche, e
soprattut- to, gli intellettuali. Il paradosso sta
nel fatto che chi vede la realtà sotto la spe- cie
del complotto pretende di intuire una trama più
complessa rispetto a ciò che è visibile, di
svelare ciò che si nasconde sotto le apparenze,
dunque di pro- porre una spiegazione più
sofisticata: in realtà compie l’operazione
contraria.
Il secondo motivo è che la teoria
del complotto è altamente deresponsabiliz- zante.
Chi vede franare la realtà su cui si appoggiava,
cambiare le coordinate cui era abituato a far
riferimento, preferisce pensare all’intervento
esterno di qualche potenza più o meno occulta,
piuttosto che rimeditare autocriticamente la
propria esperienza, capire dove ha sbagliato,
rimettere in discussione le sue coordinate. Questo
vale soprattutto per i politici, oltre che, al
solito, per gli in- tellettuali.
C’è un’ultima osservazione da fare:
come ha ben mostrato Umberto Eco nel
Pendolo di Foucault, la teoria del
complotto ha il vantaggio di funzionare sempre.
Una volta che lo schema esplicativo sia disegnato,
e assunto come un assioma, non è difficile
inserirvi i singoli fatti, comporli come in un
mosaico. Ciò che contrasta con lo schema è
respinto, ignorato o, più spesso, attribuito a un
con- sapevole inganno ordito dall’avversario: i
conti tornano in ogni caso.
luglio 1993
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A proposito di complotti
(3)
di
Gaetano Quagliariello
Scrive il filosofo
popperiano Dario Antiseri:
« Le conseguenze di
un’azione so- no infinite(...); infinite sono le
possibili interazioni tra le diverse conseguenze
delle azioni umane».
A qualcuno queste parole potrebbero suonare come
uno stantìo luogo comune. E pure, sarebbe
possibile attingere innumerevoli esempi dalla
più recente realtà italiana che, con la loro
evidenza, testimoniano come siano tanti coloro i
quali ne ignorano ancora il
significato.
La
mentalità costruttivista è dura a morire; non è
bastata la caduta di un muro per abbatterla. Chi
pensa di militare dalla parte del giusto (non
importa, ovvia- mente, se questo giusto si trovi
a destra, a sinistra oppure al centro), chi
ritiene di poter modellare il divenire secondo
un piano ed obiettivi immodificabili, non potrà
mai ammettere di aver fallito per aver mal
previsto le conseguenze delle proprie azioni.
Preferirà riferirsi a misteriosi complotti
orditi dal nemico su un terreno di scontro non
lecito, che «tutto tengono»
e che ad ogni sconfitta sono in grado di offrire
giustificazione senza intaccare la «giustezza»
del piano.
Ciuffoletti, in un brillante
saggio impreziosito dalla edizione del
«Saggiatore»,
per scoprire le origini della moderna sindrome
del complotto affonda la sua a- nalisi sin nella
storia della Rivoluzione Francese,
riattualizzando così un pro- blema storiografico
di non piccolo momento.
Gaetano
Salvemini scriveva nella prefazione alla sua
Rivoluzione francese del 1905:
«La Rivoluzione viene concepita
mitologicamente come una persona in carne ed
ossa che va alle urne a votare invece degli
elettori.(...) Quando la Ri- voluzione è
diventata un’entità personale superiore agli
uomini e determina- trice dei loro atti, noi
siamo condotti ad attribuire in blocco la
varietà degli e- venti rivoluzionari alla
Rivoluzione personificata, piuttosto che
assegnare cia- scun fatto all’individuo o ai
gruppi d’individui reali che ne furono
storicamente gli autori».
Salvemini, in polemica con Taine, imdividuava
qui le radici della sindrome del complotto che,
evidentemente, aveva infestato la storiografia
sul- la Rivoluzione non meno del suo oggetto
d’indagine. Circa trent’anni più tardi un
altro storico italiano, Guglielmo Ferrero,
avrebbe portato un contributo nel- la stessa
direzione nella quale Salvemini si era spinto,
con le sue lezioni gine- vrine: ciò che a lungo
era stato spiegato con il complotto, avrebbe
potuto tro- vare un’esplicazione assai più forte
considerando la spirale innestata dalla pau- ra
in contesti privi di legittimità.
Essa
avrebbe infine travolto gli stessi attori della
rivoluzione, che avevano agi- tato lo spettro
del complotto per giustificare, innanzi tutto ai
loro stessi occhi, comportamenti determinati in
realtà dalla paura. Cioè, dalle conseguenze
inin- tenzionali delle azioni da essi stessi
concepite. Tornare oggi su questi nodi sto-
riografici, ricostruire la sindrome del
complotto come ha fatto Ciuffoletti nel suo
saggio, non rappresenta soltanto la
riproposizione di un’interessante tema- tica di
ricerca. E' anche un invito ed un avvertimento.
Mentre la prima Repub- blica va lentamente
trasformandosi in materia di riflessione
storica, proprio al sapere storico spetta il
compito di riguadagnare l’intelligenza e la
comprensione di questo tempo, rintracciando
dietro «mostri»
e complotti, uomini in carne ed ossa, con i loro
pregi ed i loro difetti, le loro certezze e le
loro paure. Con le loro responsabilità, che
spesso risultano assai più pesanti dell’essere
artefici o vittime di un ipotetico
complotto.
luglio
1993
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