I   m i t i   d e l l a   p o l i t i c a

La Retorica del complotto

 

 

Vincenzo Camuccini, Assassinio di Cesare (part.),

Galleria nazionale di Capodimonte, Napoli

 

 

Da quando sul finire del medioevo l'ambito della politica da pratico diventa ideale, lo sviluppo della teoria non ignora il mito e il suo potere rigenerante della storia. Ma tra i miti della politica, qual è il ruolo della teoria del complotto? Si tratta di un mito fondante o fuorviante? Qual è il suo rapporto con la storia e con la macchina mitologica?

In un momento in cui s'inseguono molte ombre, che nel buio trovano consistenza, il saggio «Retorica del complotto» (Ed. Il Saggiatore) di Zef- firo Ciuffoletti arriva opportuno e illuminante. Gli untori del complotto co- me lo stesso virus che c'è ma non si vede risultano ben circoscritti e, in piena luce, più volte sbiadiscono sullo sfondo della storia come i congiu- rati del «Ferragus» di Balzac nella metropoli parigina.

Da «Retorica del complotto», pubblicato in questi giorni, ma che ha già suscitato un dibattito prima ancora di arrivare in libreria, vi proponiamo qualche brano.

 

luglio 1993                                                                                                Enzo D'Angelo

 

 

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da Z. Ciuffoletti, Retorica del complotto, Ed. Il Saggiatore, 1993

 

 

  

 

 Gli archetipi della teoria del complotto

Le moderne teorie del complotto, che spiegano le vicende politiche come il futuro di  congiure, fanno parte di quei grandi sistemi mitologici che accompagnano i gran- di rivolgimenti politici e sociali degli ultimi due secoli della storia europea. Fra que- sti miti, oltre quello del complotto, si possono annoverare il mito dell'età dell'oro, il buon tempo antico, quando tutto era pace, ordine e abbondanza; quello di una ri- voluzione redentrice che permette all'umanità di entrare nella fase ultima della sua storia e assicuri la realizzazione del regno della giustizia o il paradiso in terra; o il mito del capo salvatore, restauratore dell'ordine antico o costruttore di un ordine nuovo.

Ciascuna di queste «costellazioni mitologiche» può sorgere nei punti più diversi dell'orizzonte politico e si può classificare «di destra» e «di sinistra» secondo il mo- mento e il contesto. Si pensi soltanto all'ubiquità del tema della cospirazione ebrai- ca, utilizzato ora dalla destra, ora dalla sinistra sia nel secolo scorso che in  questo, in funzione delle vicende del dibattito ideologico o della lotta politica. Per profondi- tà, persistenza, ambiguità, questi «miti» della politica moderna non si differenziano poi molto dai grandi miti sacri delle società tradizionali.

E, come questi, anche i miti politici vanno trattati con la consapevolezza dei limiti che si incontrano nel tentativo di decodificare l'immaginario. Il limite più grande sta nel fatto che i miti visti dall'esterno, esaminati dal punto di vista dell'indagine ogget- tiva, rischiano di apparire come dei «fossili». Fra coloro che vivono i miti nell'ade- sione della loro fede e coloro che pretendono di analizzarli criticamente sussisterà sempre uno iato irriducibile. Ma è un rischio da correre.

Decodificare il mito del complotto significa trovare alcune chiavi per la compren- sione di uno dei più potenti fattori di mobilitazione politica delle masse nella storia contemporanea, uno stimolatore di energie di eccezionale e a volte tragica potenza.

Le forze in campo si servono continuamente delle cosiddette «politiche di allarme sociale» allo scopo di mobilitare le masse contro i loro avversari oppure allo scopo di sopperire al proprio deficit di legittimazione con uno sfruttamento intensivo della «natura sentimentale delle masse». Di queste politiche di allarme sociale la teoria del complotto è quella più largamente e intensamente impiegata. Secondo Karl Popper, che alla moderna teoria del complotto ha dedicato pagine magistrali, essa deriverebbe  dalla secolarizzazione delle superstizioni religiose. «Tale teoria scrive Popper più primitiva di molte forme di teismo, è simile a quella rilevabile in Ome- ro. Questi concepiva il potere degli dei in modo che tutto ciò che accadeva nella pianura davanti a Troia costituiva soltanto un riflesso delle molteplici cospirazioni tramate dall'Olimpo. La teoria sociale  della cospirazione è in effetti una versione di questo teismo, della credenza, cioè, in una divinità i cui capricci e voleri reggono o- gni cosa. Essa è una conseguenza del venir meno del riferimento a Dio e della con- seguente domanda: 'Chi c'è al suo posto?'. Quest'ultimo è ora occupato da diversi uomini o gruppi potenti, sinistri gruppi di persone cui si può imputare di aver orga- nizzato la grande depressione e tutti i mali di cui soffriamo».

In base a questa teoria tutto ciò che accade di negativo nella società, crisi econo- miche, trasformazioni sociali, guerre, criminalità, disoccupazione, è il risultato di un preciso proposito perseguito da alcuni individui o gruppi organizzati. Lo sgretolarsi del fondamento religioso del mondo, lungi dal significare l'avvento nell'ambito della politica di modi di pensiero e di comportamento effettivamente laici, e cioè spogli di qualsiasi valenza escatologica o mitica, alimenta una dimensione della politica at- traversata da vibrazioni religiose. Le ideologie politiche si sono presentate, special- mente in questo secolo, con tutte le caratteristiche delle vecchie religioni. Hannah Arendt, studiando la propaganda dei sistemi totalitari, che, dal nazismo al fascismo e al comunismo, fecero un largo uso della teoria del complotto, ha messo in luce una caratteristica delle masse moderne che può essere utile ricordare. «Le masse moderne scrive la Arendt  non credano alla realtà del mondo visibile, della pro- pria esistenza; non si fidano dei propri occhi e orecchi, ma soltanto della propria immaginazione [...] si lasciano convincere non dai fatti, neppure dai fatti inventati, ma soltanto dalla compattezza del sistema [...] quel che le masse si rifiutano di conoscere è la casualità che pervade tutta la realtà. Esse sono predisposte a tutte le ideologie perché spiegano i fatti come i semplici esempi di determinate leggi ed eli- minano le coincidenze, inventando un'onnipotenza tutto comprendente che suppon- gono sia la radice di ogni caso. La propaganda totalitaria prospera su questa fuga dalla realtà nella finzione, dalla coincidenza nella coerenza».

La teoria del complotto costituisce il perno del razionalismo magico, lo strumento ideologico tramite il quale si verifica la dicotomia fra Bene e Male. Essa ha stretti rapporti da un lato  con la visione mitico-magica del mondo, e dell'altro con la no- zione di «casualità forte», onnicomprensiva, distinta cioè dalla nozione moderna della probabilità da formulare secondo lo stile di discorso delle congetture e delle confutazioni. Nello stesso tempo si pone all'incrocio con il processo di secolarizza- zione e di perdita della dimensione mitica del mondo che è il risultato della moder- nizzazione occidentale. (...)

 

 

  L'uso pervasivo del complotto e la fine della dialettica politica: il caso ita- liano

A un osservatore esterno l'Italia potrebbe sembrare la patria del complottismo come interpretazione delle vicende umane. Nella cultura politica italiana sembra so-pravvivere più che altrove la tentazione di concepire l'universo come una scrittura segreta di cui si cerca ostinatamente di trovare la chiave. E, siccome in Italia tutto è politica, tutto dal calcio alla cultura, dall'economia allo sport   è complotto, e la dietrologia riempie le pagine dei giornali e delle riviste. Ma se il gioco funziona nei mass media e nei salotti, nella politica vera e propria può avere effetti perversi, spe-cialmente in un paese di deboli tradizioni democratiche.

  Per l'Italia si può rovesciare la proposizione di Clausewitz: non è la guerra che continua la politica con altri mezzi,  ma la politica che continua la guerra.  La demo-

crazia in Italia sorse da tre guerre: la guerra fra eserciti, la guerra fra classi, la guerra

civile, e ne porta le stigmate. Inoltre, in nessun posto come in Italia la politica è sta- ta sospesa nell'empireo del dover essere, che naturalmente è troppo lontano dai problemi quotidiani. Tutto questo ha generato una spirale che porta ad attribuire sempre «ad altri» la responsabilità delle delusioni e dei risultati, spesso negativi e sempre insoddisfacenti, dell'attività politica (...)

Se da un lato il fascismo, per i comunisti e in generale le sinistre,divenne una sorta di categoria eterna, un male radicale coerentemente con quella che Augusto Del Noce definì «la sostituzione dell'interpretazione demonologica all'interpretazione storica», dall'altro lato l'anticomunismo si nutrì dell'antica paura dell'«Anticristo». (...)

Il culto di Stalin («Baffone») reincarnò l'idea del «Salvatore», in un mito della spe- ranza e dell'utopia, ma anche della rivincita e della vendetta, in cui paure e senti- menti difensivi si intrecciavano a pulsioni di potenza.

La logica della «guerra fredda», di cui l'Italia uno dei punti critici, congelò il siste- ma politico fino agli anni Sessanta, quando il processo di modernizzazione e secola- rizzazione raggiunse dimensioni ragguardevoli, provocando un secondo stress so- ciale con epicentro nella classe intellettuale. Si evidenziò allora l'incapacità degli in- tellettuali che si erano pensati come avanguardia ed élite, di adattarsi alle regole della democrazia liberale e della società di massa, che equiparava gli intellettuali ai cittadini comuni.

C'era anche la dolorosa perdita di status che il ceto intellettuale andava subendo in quegli stessi anni a causa dell'espansione della scolarizzazione di massa. Prese forma allora quell'epifenomeno rivoluzionario che fu il '68, un periodo che in effetti si estende per un decennio dal 1968 al 1978. L'anticapitalismo del marxismo rivo- luzionario si miscelò con l'anticapitalismo cattolico. Fu una reazione che si nutriva di orrore per il mercato nel quale molti intellettuali si sentivano insicuri e potenzial- mente perdenti. Una parte consistente dell'intellighenzia italiana si riconobbe nella rivoluzione, fece propria la fraseologia marxista e si dotò di nuove costellazioni mi- tologiche. (...)  

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A proposito di complotti  (1)

di Franco Cardini

 

Su «L’Espresso» di ottobre, Umberto Eco dedica una delle sue «Bustine di Minerva» a un’iperstoria paradossale della faccenda Gelli-Nardi-Moro colle- gando i tre casi-chiave a un lungo ed esilarante Todtentanz in cui entrano tutti i congiurati o ritenuti tali d’Italia: una gran costruzione improbabile (ma, visto come certi mass media trattano ormai l’intricata materia dietrologica, nemmeno poi tanto) grazie alla quale «si spiegherebbe tutto l’affare Dreyfus e lo scandalo della Banca Romana, la congiura delle Polveri e la Macchina Infernale di Geor- ges Cadoudal. Per non dire di Sofri, che non può continuare a fare il santarelli- no» .

Eco sostiene di aver avuto l’idea per la sua decrittazione fantacomplottistica da una vignetta di Giuliano su «la Repubblica» del 17 ottobre: ma io ho lim- pressione che in qualche modo egli non sia rimasto insensibile nemmeno al gran parlare che in questi giorni si è fatto del bel libro di Zeffiro Ciuffoletti, Re- torica del complotto (Il Saggiatore): un libro peraltro ispirato in una certa misura – e Ciuffoletti lo ha detto – proprio ai due romanzi di Umberto Eco: a Il nome del- la rosa, nel quale ci si serve ampiamente di quel «paradigma indiziario» del qua- le anche gli storici discettarono ampiamente alcuni anni fa sulla base di un saggio di Carlo Ginzburg; e a Il pendolo di Foucault, che dispiega una multiforme e ammirevole erudizione attorno alla letteratura del complotto; né è da dimen- ticarsi che il Popper, nel saggio sulla teoria della cospirazione, aveva detto altre cose. Il complotto universale, quello con la C maiuscola, quello dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion e del diavolo che appare durante le sedute dell’improbabile Massoneria Palladiana della quale si parlava in campo cattolico ai tempi di pa- pa Leone XIII, non esiste: questo sostiene non da ieri l’illustre semiologo, il quale concede tuttavia che possano esistere semmai vari complotti piccoli, ma- gari fondati sulla conclamata necessità di sventare complotti altrui (le BR non agivano forse per vanificare il Gran Complotto del Capitale – benintenso soste- nuto dalla Chiesa, dalla CIA e dai fascisti – contro l’intero genere umano? ). E ho i miei dubbi, poi, che Eco non creda anche lui al Complotto universale, che – appunto come s’insinua ne Il pendolo di Foucault – non potrebb’essere se non di destra, dal momento che anche lui, di recente, ha apposto la sua augusta firma in calce all’appello (corroborato da firme molto meno illustri della sua) teso ad appurare chi siano, quanti siano eccetera gli studiosi con passato e radi- ci di estrema destra i quali ancor oggi ammorbano, da quelle F.O.D.R.I.A.(For- ze Oscure della Reazione in Agguato) che sono, le ime latebre del nostro mon- do culturale e universitario. Come se poi di guai, quel mondo lì, non ne avesse già abbastanza; e già non vi abbondassero gli imbecilli di varia origine, anche senza far il censimento di quelli di matrice neofascista.

Quanto a me, sento di poter parlare con assoluta tranquillità perchè sono un antemarcia, e in vari sensi.Sono stato difatti uno tra i primi estimatori di en- trambi i romanzi di Eco, e con una non sospetta sollecitudine; e Ciuffoletti mi darà atto che sono stato uno dei primi e forse anche dei più entusiasti estimato- ri del suo libro, che egli mi ha fatto l’onore di farmi leggere per larghi passi quando ancor era in gestazione e del quale abbiamo più volte e a lungo parlato. A parte il fatto che – antemarcia anche in questo –  appartengo anch’io, ebbene sì, alla sparuta (ma quanto?...) pattuglia degli studiosi con precedenti di estre- ma destra che turba i sonni dell’amico Umberto Eco: e, scellerato, me ne van- vanto, se non altro perché fin da  quando avevo sedici anni ho imparato ad as- sistere alle «cacce alle streghe» interpretando la parte della strega: il che non sarà comodo, ma è molto istruttivo.

L’Italia è piena di complotti; rigurgita del polverone sollevato da troppi Cava- lieri del Giusto e del Bene che vanno in giro a smascherare i tenebrosi adepti  della notte. Politici in crisi e free lances(non so poi quanto free; e quanto lances) in cerca di pubblicità non trovano di meglio che cucire alla peggio spezzoni di oscuri fatti di cronaca collegandoli maniacalmente fra loro per mezzo di ardui castelli e arditi ponti non già di prove, bensì d’illazioni, di teorie indimostrate, d’ipotesi arbitrarie tese sul filo pericoloso della coincidenza. Perdono volentieri le trovate della signora Di Rosa perché ha inondato le copertine dei rotocalchi dei suoi bellissimi occhi grigio-azzurri; non me la sento invece per nulla di perdonare quei funzionariotti del PDS che – con una veterotecnica degna del Pci – hanno dato sfogo alle loro frustrazioni di robesperriani falliti rispolveran- do a proposito di Firenze la congiura demoplutogiudaicomassonica del cavalier Benito Mussolini (nonno, si ricordi, della più celebre e più carina Alessandra) e hanno pubblicato a mo’ di liste di proscrizione i nomi, eccellenti e più spesso no, degli iscritti toscani alle varie logge massoniche. Ma questo miscuglio di ve- rità, di aperte bugie, di prove reali e indizi ipoteticamente interpretati, già il Volkoff l’aveva presentato in uno suo romanzo, Il montaggio, come caratteristica di lavoro del KGB e, più in generale, come fondamentale ingrediente del siste- ma marx-leninista d’interpretare la storia.

Un’interpretazione che appunto – e il Profeta di Treviri l’aveva pur dichiarato – avrebbe poi dovuto servire non già a contemplare il mondo, bensì a trasfor- marlo. Perché la bugia è progettuale: ed è tanto più efficace quanto più si basa su «verità» tremende ma indimostrabili, logiche ma non necessariamente dimo- strabili alla luce d’un miserabile staccio di prova. Come diceva appunto Jean-Paul Marat: «Per credere a un complotto voi avete bisogno di prove giuridiche: a me basta l’andamento della situazione generale, le relazioni dei nemici della libertà, gli andirivieni di certi agenti del potere».

Peccato che, a suo tempo, i bidelli italiani del KGB (che poi, com’è noto, sindignano e si stracciano le vesti se l’arma dietrologica si volge contro di loro; vedasi la faccenda «Gladio Rossa») abbiano fatto di tutto per far sparire il libro del Volkoff: ma l’eventuale lettore di buona volontà ne rintraccerà l’assunto in un volume da me coordinato appunto nel 1989(bicentenariale omaggio ai gran- di pinocchi complottologi della Rivoluzione francese) e sintomaticamente inti- tolato La menzogna (ed. Ponte alla Grazie).

Complotti complotti complotti: venghino venghino al Gran Baraccone dietro- logico. Ce n’è per tutti i gusti: antichi e moderni, laici e religiosi, di destra e di sinistra.

Gli ebrei avvelenavano i pozzi per spargere il contagio in combutta col Ve- glio della Montagna, streghe e untori volevano a ogni costo spiantar il genere u- mano con l’aiuto benintenso del diavolo, non si dica quel che non ha combi- nato il pugnale dei neri gesuiti, i massoni hanno scatenato la Rivoluzione fran- cese in odio alla Chiesa e ai regni cristiani, le malefatte degli anarchici non si contano; per non dir nulla dei fascisti, più volte denunziati da finissimi cesel- latori della dietrostoria quali – ricordate – Camilla Cederna come responsabili dei più efferati crimini e delle più atroci congiure dell’ultimo mezzo secolo e re- sponsabili con ogni probabilità non solo della strage di Bologna, ma anche del- l’alluvione del ’66 e dell’acqua alta a piazza San Marco (presumibilmente per punire Firenze e Venezia, notoriamente città antifasciste).

La complottomania nasce quando il paradigma indiziario esce dal rispettabile mondo degli strumenti dell’esegesi scientifica per esser utilizzato (e se ne fa, appunto, uso improprio) in quelli tanto meno rispettabili del dibattito politico e giudiziario.

Il complotto è la scorciatoia grazie alla quale si può finger di aver capito tutto quando, al contrario, non si sta capendo un bel niente di niente; per questo, nei momenti di crisi politica o sociale, esso riemerge come ricerca pressante di un Capro Espiatorio l’identificazione del quale costituisca il taglio del nodo di Gordio dell’emergenza e restituisca alla gente unità all’individuazione del Ne- mico Metafisico da battere.

In Germania nel ’33, con questi presupposti e grazie a meccanismi propagan- distici del genere, un pugno di disperati e di scellerati ha vinto le elezioni riu- scendo a tirar dalla loro parte – sia pur temporaneamente – anche gente come  Schmitt, Heidegger e Furtwängler.

Ricordiamocene, prima di entusiasmarci troppo anche dinanzi ai Nuovi Eroi di tangentopoli: perché sovente – anzi, è forse una regola strutturale – la psico- si del complotto evoca come immediata conseguenza la necessità di un salva- tore.

Vigilate, dunque: perché, se il Grande Complotto non esiste, di complotti pic- coli, parziali, limitati ma provvisti di ben precisi programmi ce ne sono eccome, e tanti.

E sovente chi grida al complotto è in realtà egli stesso un complottatore che sta organizzando un po’ di polverone per lavorar indisturbato.

Attenzione: il ventre che, in passato, ha partorito Complotti e Salvatori è an- cora gravido. Lo sarà sempre. Sta a noi, come raccomandava Paolo di Tarso, vigilare.

 

luglio 1993

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 A proposito di complotti  (2)

di Giovanni Sabbatucci

 

 

 

Perchè le spiegazioni basate sulla «teoria del complotto» hanno avuto e hanno tanta fortuna? I motivi principali sono due.

Il primo è che la realtà è terribilmente complessa, mentre gli schemi ideologici con cui cerchiamo di interpretarla sono forzatamente semplici, o semplicistici. La teoria del complotto serve ad adeguare la realtà agli schemi, a renderla sem- plice. Questo riguarda non solo gli incolti e gli illetterati, ma anche, e soprattut- to, gli intellettuali. Il paradosso sta nel fatto che chi vede la realtà sotto la spe- cie del complotto pretende di intuire una trama più complessa rispetto a ciò che è visibile, di svelare ciò che si nasconde sotto le apparenze, dunque di pro- porre una spiegazione più sofisticata: in realtà compie l’operazione contraria.

Il secondo motivo è che la teoria del complotto è altamente deresponsabiliz- zante. Chi vede franare la realtà su cui si appoggiava, cambiare le coordinate cui era abituato a far riferimento, preferisce pensare all’intervento esterno di qualche potenza più o meno occulta, piuttosto che rimeditare autocriticamente la propria esperienza, capire dove ha sbagliato, rimettere in discussione le sue coordinate. Questo vale soprattutto per i politici, oltre che, al solito, per gli in- tellettuali.

C’è un’ultima osservazione da fare: come ha ben mostrato Umberto Eco nel Pendolo di Foucault, la teoria del complotto ha il vantaggio di funzionare sempre. Una volta che lo schema esplicativo sia disegnato, e assunto come un assioma, non è difficile inserirvi i singoli fatti, comporli come in un mosaico. Ciò che contrasta con lo schema è respinto, ignorato o, più spesso, attribuito a un con- sapevole inganno ordito dall’avversario: i conti tornano in ogni caso.

 

 luglio 1993

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  A proposito di complotti  (3)

di Gaetano Quagliariello

 

 

 

 Scrive il filosofo popperiano Dario Antiseri: « Le conseguenze di un’azione so- no infinite(...); infinite sono le possibili interazioni tra le diverse conseguenze delle azioni umane». A qualcuno queste parole potrebbero suonare come uno stantìo luogo comune. E pure, sarebbe possibile attingere innumerevoli esempi dalla più recente realtà italiana che, con la loro evidenza, testimoniano come siano tanti coloro i quali ne ignorano ancora il significato.

  La mentalità costruttivista è dura a morire; non è bastata la caduta di un muro per abbatterla. Chi pensa di militare dalla parte del giusto (non importa, ovvia- mente, se questo giusto si trovi a destra, a sinistra oppure al centro), chi ritiene di poter modellare il divenire secondo un piano ed obiettivi immodificabili, non potrà mai ammettere di aver fallito per aver mal previsto le conseguenze delle proprie azioni. Preferirà riferirsi a misteriosi complotti orditi dal nemico su un terreno di scontro non lecito, che «tutto tengono» e che ad ogni sconfitta sono in grado di offrire giustificazione senza intaccare la «giustezza» del piano.

 Ciuffoletti, in un brillante saggio impreziosito dalla edizione del «Saggiatore», per scoprire le origini della moderna sindrome del complotto affonda la sua a- nalisi sin nella storia della Rivoluzione Francese, riattualizzando così un pro- blema storiografico di non piccolo momento.

 Gaetano Salvemini scriveva nella prefazione alla sua Rivoluzione francese del 1905: «La Rivoluzione viene concepita mitologicamente come una persona in carne ed ossa che va alle urne a votare invece degli elettori.(...) Quando la Ri- voluzione è diventata un’entità personale superiore agli uomini e determina- trice dei loro atti, noi siamo condotti ad attribuire in blocco la varietà degli e- venti rivoluzionari alla Rivoluzione personificata, piuttosto che assegnare cia- scun fatto all’individuo o ai gruppi d’individui reali che ne furono storicamente gli autori». Salvemini, in polemica con Taine, imdividuava qui le radici della sindrome del complotto che, evidentemente, aveva infestato la storiografia sul- la Rivoluzione non meno del suo oggetto d’indagine. Circa trent’anni più tardi  un altro storico italiano, Guglielmo Ferrero, avrebbe portato un contributo nel- la stessa direzione nella quale Salvemini si era spinto, con le sue lezioni gine- vrine: ciò che a lungo era stato spiegato con il complotto, avrebbe potuto tro- vare un’esplicazione assai più forte considerando la spirale innestata dalla pau- ra in contesti privi di legittimità.

 Essa avrebbe infine travolto gli stessi attori della rivoluzione, che avevano agi- tato lo spettro del complotto per giustificare, innanzi tutto ai loro stessi occhi, comportamenti determinati in realtà dalla paura. Cioè, dalle conseguenze inin- tenzionali delle azioni da essi stessi concepite. Tornare oggi su questi nodi sto- riografici, ricostruire la sindrome del complotto come ha fatto Ciuffoletti nel suo saggio, non rappresenta soltanto la riproposizione di un’interessante tema- tica di ricerca. E' anche un invito ed un avvertimento. Mentre la prima Repub- blica va lentamente trasformandosi in materia di riflessione storica, proprio al sapere storico spetta il compito di riguadagnare l’intelligenza e la comprensione di questo tempo, rintracciando dietro «mostri» e complotti, uomini in carne ed ossa, con i loro pregi ed i loro difetti, le loro certezze e le loro paure. Con le loro responsabilità, che spesso risultano assai più pesanti dell’essere artefici o vittime di un ipotetico complotto.

 

 

luglio 1993