Abusivismo e demolizioni

di Floriano Villa

 

 


  La decisione, sicuramente sofferta, presa dall'Amministrazione di Catania, di abbattere costruzioni abusive poste in aree di tutela, ripropone nuovamente ed in modo clamoroso il problema già sorto ad Agrigento e soprattutto noto all’o- pinione pubblica per la sorte segnata del famigerato albergo di Fuenti. Opinioni contrastanti di amministratori, ambientalisti, politici e prelati non hanno porta- to ancora ad una definizione chiara degli aspetti di una questione che interessa da vicino il «buon governo del territorio». E mentre da una parte si invoca il sacrosanto diritto di rispettare normative dello Stato, che vietano severamente di costruire al di fuori di ogni criterio urbanistico, vincolistico, ambientale, dal- l’altra si fa spesso riferimento alla dolorosa operazione di demolizione di edifici che, ormai costruiti, potrebbero facilmente essere destinati a coloro che, per u- na ragione o per l’altra, case non hanno o non sono in grado di avere. Sicura- mente questa è una visione di natura sociale che interpreta in maniera distorta un principio inderogabile, che tra l'altro appare infrangibile nei Paesi cosiddetti sviluppati, tra i quali dovrebbe trovarsi anche l’Italia. Dove invece si ha spesso una sorta di indulgenza per questo abuso, tra l’altro molto diffuso, che talvolta assume i caratteri di un peccato veniale. E' forse opportuno fare alcuni chiari- menti, che possono servire a meglio inquadrare il problema. Anzitutto bisogna distinguere tra abusi edilizi che hanno interessato aree periferiche di grandi cit- tà, in zone dove forse ha fatto difetto anche una programmazione ed una visio- ne sociale più aperta alle classi più deboli, che avevano indubbiamente un dirit- to alla casa, diritto che è stato negletto o ignorato, e nei migliori casi sottovalu- tato. Alla carenza di affitti di alloggi disponibili a costi calmierati per interven- to delle Amministrazioni pubbliche si è rimediato con decisioni autonome e al di fuori di ogni logica e di ogni normativa urbanistica. In genere queste costru- zioni abusive sorgono in aree degradate, prive di ogni servizio pubblico, abban- donate in un certo senso a loro stesse, con una certa dose di responsabilità che va addossata anche alla pubblica amministrazione. In casi come questi, se essi non pregiudicano zone di particolare interesse paesaggistico o territoriale, po- trebbe essere tentato un risanamento generale, con l’inserimento del contesto attuale socialmente fatiscente in una struttura bonificata e trasformata in un contesto più civile che sia dotato di tutti quei servizi che una collettività ha diritto di richiedere, soprattutto se non ha risolto il problema della sopravvi- venza e se non ha raggiunto la libertà dal bisogno. Non si vuole certamente con questo giustificare l’abusivismo: resta un modo incivile di occupare territorio non disponibile, tuttavia si va cercando una soluzione al problema che sia più confacente alla realtà sociale ed al costo economico della demolizione. In effet- ti, se un paragone può valere, il problema potrebbe essere affrontato alla stre- gua della bonifica dei terreni contaminati delle aree industriali dismesse dove, quando non sia affrontabile economicamente l’asportazione del terreno, lo si lascia in posto dopo averlo messo in sicurezza.
  Ben diversa è la situazione se l’abusivismo è stato esercitato in zone pregevoli per emergenze ambientali, o in zone caratterizzate da rischio geonaturale. Pen- siamo alle nostre coste soprattutto al sud dove interventi di tal fatta hanno sconvolto irreversibilmente fasce di grande bellezza, e prendiamo in considera- zione anche aree archeologiche di gran pregio sfregiate da costruzioni che han- no distrutto la sacralità dell’area. Il caso emblematico della Valle dei Templi di Agrigento, dove non vi è giustificazione alcuna che possa impedire l’abbatti- mento e la definitiva asportazione di tutto quanto è stato costruito abusiva- mente in un’area inedificabile, mette però in luce l’effettiva difficoltà di rag- giungere tale scopo per interessi politici, per aspetti sociali mistificati, per resi- stenze speculative, che ostacolano le iniziative risanatrici e diluiscono in tempi lunghissimi le possibilità di riuscita. Rimaniamo però convintissimi dell’assolu- ta necessità che Beni culturali di grande valore vengano liberati al più presto dall’abbraccio mortale di questa piaga urbanistica. Lo stesso discorso va fatto per le costruzioni che sono state edificate abusivamente in zone a rischio idro- geologico, a rischio sismico, a rischio vulcanico. In questo caso sono stati in- franti vincoli di sicurezza, che non possono permettere condoni o perdoni, an- che perché spesso l’edificio non è occupato da chi l’ha costruito, ma viene af- fittato a terzi, che vivono nella completa ignoranza del pericolo che li sovrasta. Viene immediatamente alla mente la tragica situazione urbanistica delle pendi- ci del Vesuvio, dove vivono più di 800 mila persone in case per la maggior par- te abusive, in una struttura urbana veramente ai limiti della vivibilità, con case addossate una all’altra e con grande carenza di vie di fuga sicure in caso di e- mergenza per eruzione vulcanica. In occasione della discussione in Parlamento del disegno di legge sul condono edilizio era stato specificatamente chiesto che non venissero sanati abusi edilizi che interessavano aree ad alto rischio geona- turale. Tutte le richieste in tal senso sono state eluse, e il fenomeno è pertanto continuato nella speranza, non vana, di un prossimo nuovo condono. Forse per questo il segno forte che proviene da Catania potrebbe essere l’inizio di un’in- versione di tendenza, che dovrebbe portare molti nostri concittadini verso un rapporto più corretto con le normative vigenti, con le leggi di tutela, con il buon governo del territorio.

 

 

 

 

dicembre 1999
 

 

 

 

 


Testo pubblicato sulla rivista Famiglia Cristiana  nel 1999