Il
cavaliere, un segno mitico di Enzo D'Angelo
Galahad, paladino alla ricerca del Graal, su un cavallo
bianco e con l’angelo custode sull’elmo, combatte i
Sette Peccati Capitali per conquistare le
Sette Virtù.
Siete voi Dio? In fede no. Chi siete
dunque? Sono Cavaliere.
Chrétien De Troyes, Perceval
o Il racconto del Graal.
Nei vari cicli epici medioevali — il
carolingio, quelli di Artù, del Cid, dei Ni- belunghi, dello slavo Igor e
del finnico Kalevala — la figura del Cavaliere ha una vicenda
ricchissima che ne radica l’archetipo ramificandolo in un ambito
geografico e culturale molto vasto. Tutti i miti cavallereschi
sublimano il «passaggio» terreno dell’uomo e la sua trasformazione. La
quéte, la ricerca del Graal, ad esempio, è in realtà quella ri-
cognizione simbolica che è poi la vera trama di tante varianti dove
l’evoluzione metamorfica non è mai casuale. Perceval che, ad un certo
punto del suo viag- gio, si mette a sognare l’amata fissando tre gocce di
sangue, lasciate sulla neve dall’anatra ferita, trasfigura coscientemente
e la metafora narrativa risulta d’im- mediata veicolazione. Dall’irrealtà
delle situazioni, dalle atmosfere fiabesche, da quella che Spitzer chiama
la «stilizzazione
ritualistica delle avventure» (1), traspare un ricco ordito esoterico la cui origine è
lontana (2) e la lettura si rive- la piuttosto impegnativa. Ci
sono poi le tipologie: quelle deviate, come quella del potere, la
teutonica o della ricchezza, la templare, quelle burlesche e quelle
rinascimentali, più laiche e meno popolari, e quella del cavaliere in
ritardo, Don Chisciotte. Il particola- rissimo antieroe di Cervantes,
naufrago esistenziale tra i segni e la realtà, è una figura perenne del
sovra-reale, un paladino che nella sua essenza metastorica non trova solo
gli effetti letterari del disadattato ma, proprio in virtù della sua
assoluta incapacità effettuale, rivaluta il principio dell’ideale e della
sua ricerca proiettandolo oltre i confini di una cultura e di
un’epoca. E ci sono gli esempi più recenti. Se pensiamo
all’esigenza di un ritorno alla natura e al mito ottocentesco del
selvaggio, presenti in autori come Rimbaud e Mallarmé, sono cavalleresche
non solo le fughe psicologiche e creative di tanti artisti ma anche quelle
fisiche, e tali furono le fughe esotiche di Gauguin e del- lo stesso
Rimbaud, alla ricerca più o meno proficua di una spiritualità perduta. Una
sublimazione novecentesca del Cavaliere è, infine, quella del Blaue
Reiter, — Cavaliere Azzurro — il movimento artistico di
Kandinsky, e poi anche di Klee, antifigurativo e antinaturalistico, che si
avventura nella cerca della natura primordiale e delle soggettività
attraverso il simbolismo dei colori. Il cavaliere non è ciò che
era ma ciò che è, attraverso il tempo e la memoria, nella psiche. E' un
segno mitico che svolge il suo ruolo simbolico muovendosi
fenomenologicamente tra realtà, concetto e immagine, facendo così
risorgere quella che Malinowski chiama la «realtà primordiale in forma
narrativa» (3).
Ma, d’altronde, cosa ne sarebbe dell’esperienza senza la griglia
linguistica ric- ca dei segni più diversi? Sono i segni più complessi e di
difficile catalogazione, soprattutto quelli la cui forte enigmaticità ne
accresce il valore simbolico, che arrivano direttamente al senso, con
l’intensità evocativa della metafora, susci- tando la continua
identificazione fino alla dilatazione dell’io. Il simbolo stimola perciò
la partecipazione e l’immedesimazione, prima dell’interpretazione, e se
vivere simbolicamente significa mettersi a fuoco nell’universo,
riconoscere l’A- vatāra, cioè il divino in sé, avvalorando il detto dei
mistici: «Io non vivo. Dio
vive in me», allora l’io
trascende il sé e, se Dio è diventato uomo, l’uomo può identificarsi con
Dio apprendendo, come dice Thomas Miintzer, «la sua imma- gine più
interiore» (4). Con l’iniziazione rituale il Cavaliere rinasce
ricevendo una manifestazione dell’eterno e, poiché il rito è, citando
ancora Malinowski, la «resurrezione cele- brativa della realtà
primordiale» (5), possiamo
dire che egli procede per il sentie- ro dell’impensato alla ricerca del
suo gemello, l’Altro psicanalitico, represso o sopito e comunque latente,
che non presenta rischi di stratificazione storica poiché né il mito o il
segno mitico, né la coscienza o l’inconscio si possono considerare
accumuli cronologici. Il Cavaliere è l’individuo che ricerca il Sé in sé e
negli altri e attraversa l’avventura della propria metamorfosi
— la trasmu- tazione dell’alchimista — scoprendo, con
fede sicura in quella missione che è il suo ideale, del quale sa farsi
servo, per emergere (stante la memoria latina che esprime l’emergere
con ex-sistere ) dalle tenebre e vivere nella luce. Superate le
prove che gli sono state destinate il Cavaliere raggiunge l’illuminazione
ed ha accesso alla coscienza delle sfere intellettive superiori.
E' soltanto quando ha compiuto il suo viaggio metamorfico che l’iniziato
in- tuisce o semplicemente avverte, senza bisogno di apprendere spiega
Aristotile, dopo le varie tappe di un percorso espansivo in cui attraverso
l’attenzione al suo simile — lo «scoprire» e
il «donarsi» che Husserl identifica con un perce-
pire che corrisponde al percepito — l’uno s’identifica col tutto. A
questo pun- to l’uomo si riappacifica con la natura, dopo il trauma della
nascita, e ne accet- ta il buio e la luce, l’inizio e la fine ciclici, si
sente parte di un destino e lo at- tende. Il Cavaliere esce dal
tempo, dal narrare e dal narrato, e rappresenta se stesso percorrendo
un’epopea contemporanea. Paladino audace o pellegrino contrito, dimostra
la sua virtù ordinando la complessa realtà dei segni, scopre le corri-
spondenze e le finalizza all’unità, rimpasta i cocci del reale e con essi
modella l’antro per la coscienza del sogno, trionfa sul caos del non
essere, volontario, involontario o incidentale. Il Cavaliere è colui che
rimane vigile ai margini del- l’intuizione, pronto al recupero
dell’immaginale (6), cioè l’immagine e il suo li- vello percettivo, il
segno più tipico di quella metafora che è la stessa natura e la capacità
d’immaginare. Però non vediamo il recupero dell’immaginazione e dei suoi
segni mitici come una discesa nella caverna, analogia preferita da Hillman
e dagli psicanalisti, ma come l’ascesa a un modello «fattuale»: Cavaliere, dun- que, è chi si muove
psichicamente su una scena mitica, particolarmente stimo- lante, in un
percorso concentrico la cui meta è il centro del sé. Così anche l’er-
rare, storico e metastorico, nella sua circolarità è direzionato, in
relazione cau- sale con quel nucleo che lo attira e lo giustifica, anche
quando non è raggiunto. Oggi che il linguaggio non è più sigla
ma strumento manipolatorio, chi potreb- be mettere ordine tra i segni col
mito, se non il miraggio, dell’unità — per tan- to tempo
definita classica ma che pure riemerge continuamente anche per il lin-
guista e lo scienziato — se non l’ispirato, un iniziato
all’espressione, artista o cavaliere metastorico? La ricerca intorno a
quell’epistéme, che Foucault intende come la base di una scienza
possibile dell’ordine (7), va intesa nel senso greco di epistamai,
l’«io so» che ascende per percepire e per conoscere, e
il paladino sa- rà certamente qualcuno che non intenda conoscere la natura
decifrandola ma rappresentandola.
ottobre 1991
articoli
correlati
______________________________________________________________ Note
1.
L.Spitzer, prefazione a Romanzi medievali d’amore e d’avventura,
Milano, 1989.
2. Sebbene i pareri e
le interpretazioni degli studiosi del fenomeno presentino varie
discordanze ci sembra però che le antiche ascendenze esoteriche della ri-
tualità cavalleresca siano numerose e, quindi, incontestabili. Ricordiamo,
oltre ai culti misterici dell’antichità, che Cesare definì cavalieri
— equites — gli ap- partenenti alla casta dei druidi confortati da
quanto afferma René Alleau: «L’e- soterismo medievale ‘cavalleresco’ è
ancora poco noto, malgrado le ricerche di numerosi specialisti che hanno
cercato di mostrarne le specificità in rapporto all’esoterismo
‘sacerdotale’». (La scienza dei simboli, Firenze, 1983).
3. B.Malinowski,
Magic, Science and Religion, New York, 1955 (Trad. it. Magia,
scienza e religione, Roma).
4. E.Bloch,
Thomas Miintzer teologo della rivolnzione, Milano, 1980.
5. B.Malinowski,
Magic, cit.
6. J.Hillman
definisce immaginale un livello di percezione dell’immagine tradi-
zionalmente regresso (Saggio su Pan, Milano, 1979).
7. M.Foucault,
Le parole e le cose, Milano,
t978.
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