C’era una volta ...
Valori, ideali, obiettivi
del socialismo (I)
di Antonio Landolfi
da Avanti della Domenica, anno 1, n.18, 10 maggio
1903
E' necessario distinguere, in termini di valori ed
ideali, tra invarianti e varianti.
I valori invarianti sono quelli connessi
all’identità permanente del socialismo democratico, e ne costituiscono il
gene immutabile. Essi sono, fin dalle origini a tutt’oggi, fermi nella
loro validità: la libertà, la solidarietà, il rispetto della personalità
umana, la lotta per la giustizia sociale e contro ogni forma di dise-
guaglianza, il rifiuto di ogni forma di oppressione degli individui, dei
popoli, delle classi sociali più deboli.
Accanto ad essi ci sono i valori ideali e
obiettivi varianti che mutano con il trasformarsi della società,
poiché il movimento socialista vive ed opera nella società reale e non
nell’astrazione. I suoi princìpi vanno realizzati, non soltanto
dichiarati: per cui si deve tenere conto del mutare delle situazioni
reali. La for- za del socialismo riformista è stata, nel passato, come
dovrà esserlo nel futuro, la sua capacità di mutamento, che non
contraddice i suoi valori permanenti, ma li adegua costantemente,
interpretando e sovente anticipando le nuove esigen- ze, i nuovi bisogni
che emergono dalla vita degli individui e dei popoli, mante- nendo i suoi
fondamentali obiettivi di creazione di una società più giusta e più
libera.
Ciò è stato reso possibile per una fondamentale
ragione: per il pluralismo cul- turale che ha accompagnato il socialismo,
in particolar modo il socialismo ita- liano fin dalla nascita. In esso
infatti sono confluite fin dall’inizio varie correnti di pensiero,
correnti ideali e perfino religiose, oltre che sociali e filosofiche.Una
tappa fondamentale è stata quella realizzata mercè la confluenza nel
movimen- to socialista dell’ala progressista del movimento liberale, che
prima della metà di questo secolo ha abbandonato il liberalismo
conservatore ed elitario, per af- fiancarsi ai socialisti nella loro
ascesa politica. Dalla sintesi tra socialismo e li- beralismo sono nate
due fondamentali caratteristiche del movimento socialista, due
fondamentali conquiste che hanno contraddistinto la evoluzione della ci-
viltà del Novecento: la costruzione dello Stato sociale, l’acquisizione
della fon- damentale importanza dello Stato di diritto, la cui difesa ed
il cui potenziamen- to, continuamente minacciati da forze totalitarie ed
autoritarie, compete ai so- cialisti. Questi due momenti, rappresentati
dallo Stato sociale e dallo Stato di diritto, inscindibili tra di loro,
rappresentano più che mai i capisaldi del sociali- smo moderno, liberale e
democratico.
1) Difesa e potenziamento dello Stato Sociale e garanzia dello Stato di
dirit- to vanno di pari passo. Rappresentano due aspetti inseparabili
della generale lotta socialista per la crescita e l’affermazione della
persona umana in ogni suo aspetto, economico, sociale, politico e
culturale, quale fondamento della civiltà moderna. Tali aspetti non sono
immutabili. Lo Stato sociale, come lo Stato di diritto sono realtà
concrete che vanno evolvendo a seconda delle circostanze storiche che li
condizionano e ne plasmano la forma reale con cui si modellano e si
rinnovano. Oggi lo Stato sociale va profondamente innovato, perché la for-
ma con la quale esso è nato e si è sviluppato deve misurarsi con problemi
del tutto nuovi che riguardano la sua qualità e la compatibilità dei suoi
costi con termini dello sviluppo economico. In termini qualitativi, lo
Stato sociale deve fare i conti con il fatto che esso non si basa più
soltanto su di una redistribuzio- ne monetaria con trasferimenti diretti
di risorse dalla collettività ai cittadini (sa- lari, stipendi, pensioni,
sussidi) bensì anche su trasferimenti indiretti di risorse mediante
l’erogazione di servizi (trasporti, sanità, asili, scuole). Se la qualità
di questi servizi lascia a desiderare, la funzione dello Stato sociale si
vanifica: così come si vanifica, in termini di trasferimenti monetari, se
prevale una forte on- data inflazionistica. Di qui l’esigenza di puntare
al massimo su obiettivi di effi- cienza, di qui l’esigenza di una difesa
del valore d’acquisto della moneta, per salvaguardare i redditi di chi
beneficia dei trasferimenti dello Stato sociale. La solidarietà sociale
non può dunque che coniugarsi con l’efficienza e con la limi- tazione
dell’inflazione nei limiti fisiologici rendendo la spesa sociale quanto
più possibile qualificata e redditizia, abolendo sprechi e privilegi
particolari. Oc- corre inoltre semplificare e snellire tutte le inutili e
costose bardature burocrati- che insorte nelle stesse istituzioni sociali,
assecondando ed animando quelle i- niziative di carattere privato che
espandendosi possono segnare il passaggio ad una condizione di maggiore
equilibrio, da Welfare State a Welfare Society, per cui i
fini sociali vengano perseguiti ed attuati da istituzioni pubbliche,
quanto da un tessuto ampio di istituzioni associative di tipo privato.
Obiettivo del socialismo non è stato, né può a maggior ragione essere
quello di realizzarsi in una forma di società statalizzata bensì in una
forma, ancora da costruire, di società socializzata fondata su basi
associative e partecipative che sono nella logica attuale di una
organizzazione sociale nella quale l’iniziativa dei singoli si coordina
con quella di altri cittadini solidamente cointeressati.
2) Una società sociale rappresenta il compimento
della stessa tradizione libe- rale, nel senso della quale anche il
socialismo, nella sua piena autonomia cultu- rale e politica, è sorto e si
è sviluppato, procedendo ben oltre la società liberale di stampo
tradizionale, con un moto irreversibile di conquiste che hanno ormai
profondamente trasformato il profilo dell’organizzazione sociale quale si
cono- sceva nel secolo XIX e all’inizio del secolo XX. Si è infatti
operata una forte redistribuzione di ricchezza insieme con altrettanto
forte socializzazione delle risorse. Infatti, anche se permangono
incredibili diseguaglianze economiche, e quindi sociali, tra gli individui
e le famiglie, il livello dei redditi anche dei meno abbienti, almeno nei
paesi più industrializzati, è evoluto in modo tale da attira- re sempre di
più immigrati da regioni del mondo rimaste sottosviluppate. Insie- me con
ciò, va rivelato che la socializzazione delle risorse ha compiuto una a-
scesa gigantesca, oltre la quale è difficile ipotizzare ulteriori
incrementi. All’ini-
zio del secolo, nelle società liberali
dell’Occidente, solo il 5% delle risorse pro- dotte dai privati
veniva trasferito alla collettività; alla fine del secolo questa quota si
è più che duplicata: nelle società nazionali più forti economicamente
circa la metà delle risorse prodotte dai singoli e dalle istituzioni
economiche private e pubbliche viene trasferito alla collettività.
Da questo punto di vista, si può ben affermare che
una società liberale in sen- so classico non esiste più, né ad essa è
possibile pensare di tornare, come dimo- strano i tentativi compiuti dal
reganismo e dal tatcherismo, che sono soltanto riusciti a limitare tali
dati, senza poter compiere un percorso a ritroso.
La società sociale è opera del movimento socialista, ma il suo
affermarsi non può tradursi in una visione immobile e sostanzialmente
conservatrice da parte degli stessi socialisti. Questa realtà
socializzata, difficilmente mutabile nei suoi dati di fondo, è destinata
ad irretirsi in un processo di sclerosi se non viene sti- molata ed
investita da nuovi sollecitazioni innovative, che rilancino in termini di
efficienza, di competitività, e di princìpi di equità le idee di libertà e
di giu- stizia sociale adeguandole all’epoca in cui viviamo. Occorre
coniugare, come già s’è detto, solidarietà ed efficienza, senza di che lo
Stato sociale si trasforma in una truffa per i cittadini. Ma occorre,
anche e soprattutto, stabilire nuove condizioni di equità che garantiscano
i cittadini che oggi sono meno o nient’af- fatto protetti, equilibrando i
rapporti tra gruppi sociali, per cui le diseguaglianze non esistono
soltanto tra ricchezza e povertà, ma anche tra ceti e categorie che
beneficiano di protezioni privilegiate.
3) I valori che permettono al socialismo di indicare e perseguire
coerentemen- te gli obiettivi di rinnovamento, in coerenza al proposito di
realizzare una «so-
cietà sociale»
sono: quello dell’efficienza, fondato sui princìpi della professio-
nalità, della qualificazione culturale, della formazione permanente dei
lavorato- ri, della percezione che i diritti degli individui vanno
affermati nella misura in cui essi si impegnino per i propri doveri e,
quindi, della competitività, che deri- va dalla consapevolezza che il
principio della concorrenza è lo stimolo al meri- to, al miglioramento, ed
all’espansione dello spirito d’iniziativa oltre che all’as- sunzione dei
rischi connessi ad ogni impresa; quello del valore della solidarietà
intesa non come appiattimento egualitaristico, ma come garanzia dei propri
di- ritti commisurata alla garanzia dei diritti altrui: quello del valore
dell’equità, nel senso che la tutela dei diritti non avvenga in modo
sbilanciato tale da favorire alcune categorie, alcuni gruppi sociali o
alcuni individui, penalizzando i diritti degli altri.
L’insieme di tali valori (efficienza, competitività, solidarietà,
equità) comporta l’impegno a costruire una struttura istituzionale e
sociale rivolta a realizzare ol- tre una tutela dei diritti umani, civili,
politici, anche soprattutto una garanzia delle pari opportunità per tutti
i cittadini, ponendoli cioè in grado di esprimere e realizzare i suddetti
valori: a cominciare dalle opportunità di formazione cul- turale e
professionale e dalle opportunità di ottenere e scegliere un lavoro, nel
quale il proprio valore, il proprio senso di responsabilità, le proprie
capacità ab- biano modo di mostrarsi e di realizzarsi. Esso comporta
inoltre l’estendersi del- l’area della partecipazione dei cittadini alla
proprietà azionaria e sociale delle attività produttive, in modo tale che
possa esplicarsi compiutamente l’assun-zione dei rischi dell’impresa alla
quale con il lavoro si partecipa, sia che si tratti di impresa individuale
con un numero ristretto di partecipi, sia che si tratti di ampie imprese
di produzione di beni e di servizi. Di fronte alla decadenza dei princìpi
e dei valori del fordismo e del taylorismo, nell’era postindustriale (e
post-capitalistica) che s’avvia con la fine del secondo millennio e
l’inizio del terzo, è l’organizzazione partecipativa quella che permette
di affrontare e gesti- re la nuova realtà tecnologica, e di fronteggiare i
possibili effetti devastanti, a cominciare da quello della disoccupazione.
febbraio 2000
seconda
parte
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