C’era una volta ...
Il
socialismo (II)
di Antonio Landolfi
Nel mondo contrassegnato dalla qualificazione
del lavoro stesso come attivi- tà essenzialmente creativa, dalla
necessità della gestione comune della produ- zione dei beni come dei
servizi, la partecipazione è l’unica strada, sollecitata dalla mutazione
genetica del sistema industriale, per governare e padroneggiare
l’innovazione ipertecnologica, per responsabilizzare tutti i fattori
soggettivi del- la produzione, per assicurare il massimo impiego delle
risorse umane e, quindi, per esorcizzare e sconfiggere la minaccia di una
disoccupazione universale.Con la partecipazione, l’uomo e il suo lavoro,
che tanti profeti davano per sommersi e travolti dall’avvento di un
macchinismo dall’uomo stesso evocato e provoca- cato – come l’apprenti
sorcier del racconto magico – riemergono invece in tutte le loro
potenzialità ed in tutte le loro qualità.
Nella struttura produttiva, all’interno delle
aziende, il lavoro è null’altro che la professionalizzazione di una delle
forme di quel lavoro creativo che il pro- gresso tecnologico non solo non
espelle ma di cui ha necessità.
Questa forma di lavoro, per essere produttiva, ha bisogno di realizzarsi
nella struttura aziendale mediante un nuovo sistema di gestione del
processo produt- tivo: quello della partecipazione di questi lavoratori,
insieme con tutti gli altri, alla elaborazione e formulazione delle
decisioni, alla progettazione ed alla dire- zione della vita dell’impresa.
La partecipazione comporta il superamento di tut- te le forme e i metodi
di organizzazione del lavoro, dal fordismo al taylorismo, tipiche del
sistema capitalistico di produzione, basate sulla divisione del lavoro e
sul conseguente impianto gerarchico verticale delle imprese.
Già oggi, alle soglie dell’era tecnologica, nei sistemi di produzione più
avan-zati in ogni Paese del mondo, si possono verificare già in atto gli
antecedenti di questo nuovo sistema.
La fine del taylorismo e del fordismo è segnata dai passi in avanti
compiuti nella realtà della vita d’impresa, sconvolgendo l’organizzazione
gerarchica tra- dizionale e parificando, allo stesso livello di decisione,
gli attori della vita a- ziendale.
Vediamo allo stato attuale, a testimonianza, l’affermarsi del sistema
parteci- pativo nello spaccato di momenti della vita di un’impresa
tecnologicamente e- voluta, descritto da Rifkin, analizzando quelli che
egli definisce i princìpi del management scientifico, applicati in
una fabbrica giapponese. «Nella produzione postfordista – rivela Rifkin –
gruppi di lavoro composti da personale di staff e di linea
partecipano alle decisioni di pianificazione in modo da migliorare la
produttività. Una volta raggiunto il consenso, comunque, il piano d’azione
vie- ne reso automatico nel processo produttivo. I dipendenti vengono
anche inco- raggiati a fermare la linea di produzione per effettuare dei
controlli di qualità».
In questo modo, che è quello usato nel sistema della cosiddetta
qualità totale, ormai applicata in molte realtà industriali avanzate,
si superano fordismo e tay- lorismo e ci si avvia a creare le condizioni
per un sistema di partecipazione a li- vello dell’organizzazione
produttiva.
Un sistema che, tra l’altro, frena notevolmente l’espulsione della mano
d’ope- ra, poiché la coinvolge nelle decisioni e ne accresce la
produttività non attra- verso lo sforzo fisico ma attraverso gli stimoli
al lavoro creativo, sia nella par- tecipazione alla fase dei controlli
autonomi e preventivi della qualità del pro- dotto.
La conferma che il sistema partecipativo nell’organizzazione della
produzione non tende a creare disoccupazione sta nella constatazione che
l’economia giap- ponese, che è tra l’altro quella tecnologicamente più
avanzata, è quella contras- segnata dal minore tasso di non occupati; e
dal fatto che in tutti i settori delle altre economie in cui il principio
del management scientifico è stato applicato, la produttività è
cresciuta senza discapito per l’occupazione.
Questo tipo di organizzazione del lavoro, che supera i sistemi fordisti
e taylo- risti fondati sulla divisione del lavoro, è uno degli aspetti
dell’economia della partecipazione. La partecipazione alle decisioni, e la
comproprietà dell’impresa come forma concreta di assunzione dei rischi
imprenditoriali, possono essere gli altri cardini di questa economia.
4) L’effetto più appariscente e pericoloso della trasformazione in atto
è che essa reca con sé conseguenze sociali devastanti, innanzitutto quella
di disoccu- pazione massiccia e perpetua.
I più allarmati tra gli analisti di questo fenomeno parlano di circa
ottocento milioni di persone che sono già disoccupate, considerando il
mondo nella sua globalità. Nella sola Europa, area tra le più evolute
economicamente, i disoc- cupati oscillano tra i diciassette e i diciotto
milioni.
Se questo fenomeno così allarmante è l’effetto fatale della cosiddetta
Terza Rivoluzione Industriale, quella robotica-informatica,
1’allarme potrebbe tradursi in panico: perché il ritmo della rivoluzione
tecnologica è incessante, e, a sentire gli esperti, non saremmo che ai
suoi inizi. Essi continuamente ci avvertono che «le tecnologie
informatiche dei nostri giorni sono primitive rispetto a quelle che
verranno realizzate nei prossimi venti o trent’anni». Questa tendenza, ha
il me- rito di segnalare con virulenza gli effetti pericolosi, dal punto
di vista dell’occu- pazione, della trasformazione tecnologica, del
capitalismo e della società mon- diale. Solo un impegno in senso
partecipativo può contrastare gli effetti mici- diali già presenti,
offrendo alla società uno sbocco positivo. Questo è il compi- to
strategico che il socialismo deve proporsi.
5) Non c’è socialismo moderno che non ponga al primo posto della sua
cultu- ra e della sua prassi politica il complesso dei princìpi che
garantiscono la sfera dei diritti di libertà dei cittadini, che
s’incarnano nello Stato di Diritto. E’ tutta- via necessario richiamare l’imprescindibilità,
nel contesto dei valori e degli i- deali socialisti, di una piena e forte
consapevolezza della priorità della esisten- za dello Stato di Diritto
quale garanzia di questi diritti che costituiscono la ba- silare
concretizzazione del primo obiettivo del socialismo: quello della difesa e
del rispetto della personalità umana, e della libertà nelle sue forme
molteplici e varie, che sono indivisibili.
Nella società contemporanea, il gioco delle concentrazioni e degli
intrecci tra i poteri reali insidia lo Stato di Diritto e la libertà che
esso esprime ed organiz- za. Di qui l’esigenza di una battaglia
intransigente a favore dello Stato di Dirit- to che veda i socialisti in
prima fila. Non c’è socialismo che possa chiamarsi ta- le se esso si
mostra liberale, o comunque scarsamente sensibile ai temi della di- fesa
ad oltranza dei princìpi del garantismo che presiedono allo Stato di
Diritto.
Ciò facendo, esprimendo cioè sempre il loro spirito garantista, il
socialismo e i socialisti possono anche immunizzare se medesimi da quelle
stesse tentazioni autoritarie che pur sono emerse nella storia del
socialismo, anche di quello de- mocratico.
I socialisti debbono sempre essere consapevoli che nella loro origine e
nel lo- ro operare storico è sempre esistito e può ancora affacciarsi un
genus, un germe che è connesso alla concezione progettualistica,
programmatrice, potestativa, regolatrice, che a volte ha sfociato in forme
insidiosamente illiberali.
La cultura del garantismo e della difesa dello Stato di Diritto
rappresenta dun- que anche un ottimo antidoto per una definitiva
immunizzazione da tali devia- zioni del passato. Deviazioni che
sopravvivono ancora in quella parte della si- nistra italiana che era
sorta e si era sviluppata nell’alveo del comunismo inter- nazionale.
marzo 2000
prima parte
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